Nanotecnologie per la sostenibilità agricola

Presentiamo i risultati dei laboratori dell’Università della Tuscia, pronti all’applicazione pratica. Intervista a Giorgio Mariano Balestra, docente di Strategie di difesa ecosostenibile delle coltivazioni agrarie all’UNITUS

Prof. Giorgio M. Balestra

Risalgono a poco più di trent’anni fa le prime applicazioni in ambito medico e scientifico delle nanotecnologie. Oggi potrebbero rivelarsi decisive anche nel mondo agricolo, accelerando l’agognata “svolta green”: recenti studi condotti dal gruppo di Patologia vegetale del DAFNE, Dipartimento di Scienze Agrarie e Forestali dell’Università della Tuscia (UNITUS), hanno dimostrato la loro efficacia nella trasformazione degli scarti agricoli (lignina e cellulosa) in nanoagrofarmaci che potrebbero sostituire, o comunque ridurre, gli input chimici nella difesa fitosanitaria.

L’obiettivo delle ricerche è, infatti, individuare strategie di protezione delle colture innovative ed ecosostenibili, per ridurre l’impiego di prodotti chimici e migliorare la resa produttiva; la metodologia applicata in laboratorio è ora pronta per essere estesa su raggio industriale. Entrando nello specifico, si tratta di formulazioni biopolimeriche a base di nanocristalli di cellulosa e nanoparticelle di lignina, ottenute dalla sintesi degli scarti di differenti filiere agroalimentari (potatura, lavorazione e trasformazione della materia prima).

«I risultati – conferma Giorgio Mariano Balestra, docente di Strategie di difesa ecosostenibile delle coltivazioni agrarie UNITUS di Viterbo, alla guida del team – hanno indicato come le biomasse, ottenute da scarti di differenti coltivazioni erbacee e arboree, risultino un promettente materiale di partenza per la sintesi di nanocarrier ligno-cellulosici, evidenziando allo stesso tempo il potenziale dei nanocristalli di cellulosa e delle nanoparticelle di lignina come strumenti innovativi green per controllare infezioni microbiche a danno delle coltivazioni, senza alcuna interferenza sul fisiologico sviluppo delle piante stesse, riducendo l’incidenza delle malattie in modo equivalente o migliore rispetto aquanto registrato impiegando i sali di rame».

Gli studi DAFNE si inseriscono nell’ambito di linee di ricerca supportate da progetti regionali e nazionali (LazioInnova, GRAEEN e MULTIFRU, MUR, SAFEMed e PON Nemesi) per la valorizzazione degli scarti da filiere agroalimentari – come porzioni di pianta, rami di potatura, gusci delle nocciole – e hanno già ottenuto numerose pubblicazioni.

Il digitale ha avuto un ruolo particolarmente efficace in un’applicazione a latere, sul grano, con l’utilizzo di ottiche montate su droni per individuare stress patogeni sulla spiga del grano, nell’ambito di un progetto della regione Umbria, per diagnosticare la presenza di rischi prima dell’avvento dei danni, quando ormai risulta troppo tardi intervenire. In che misura le tecnologie digitali oggi possano supportare e favorire la “svolta green”? «Enorme: dal verificare la maturità produttiva di filiere importanti come l’uva, a studiare i suoli per la miglior fertilizzazione, a prevenire – e questo è il frangente più complesso – malattie, distinguendo, ad esempio, tra un inaridimento per mancanza d’acqua ed uno causato da batteri».

Le ricadute degli esiti usciti dal laboratorio sono importanti anche per la salvaguardia ambientale e la tutela degli insetti impollinatori, che più di altri subiscono l’impatto negativo della chimica; inoltre è prevedibile un miglioramento della resa produttiva, riducendo costi e perdite – spesso ingenti – che derivano dagli attacchi degli agenti patogeni, oggi resi ancora più devastanti dal cambiamento climatico. «È la prima volta che si valuta la possibilità di sfruttare gli scarti di filiere agricole come fonti innovative per ottenere dei biopolimeri da riutilizzare per sviluppare strategie di protezione delle piante».

Possiamo definire la metodologia come “circolare”, dato che alla terra torna ciò che da essa proviene, anche se in forma diversa? «Esatto: circolarità totale. Si rende risorsa ciò che era scarto, in ottimale direzione green deal».

Il team, composto da Sara Francesconi, Daniele Schiavi, Linda Felici, Francesco Sestili, si sta focalizzando sugli scarti delle filiere di grano, pomodoro, vite, actinidia, nocciolo e olivo, valutando l’efficacia contro i danni e le perdite causati da microrganismi (batteri e funghi), agenti di gravi malattie ai danni delle stesse coltivazioni da cui si recuperano gli scarti. «Si tratta – prosegue Balestra – di patologie in grado di causare danni e perdite notevoli all’interno di filiere agroalimentari che rappresentano i pilastri del nostro made in Italy».

I ricercatori hanno scelto di lavorare su cellulosa e lignina in quanto sono i due biopolimeri più abbondanti presenti nel mondo vegetale e negli scarti delle coltivazioni ed entrambi biodegradabili; vantano, oltretutto, interessanti e numerose proprietà fisico-chimiche, meccaniche e antimicrobiche, che le rendono adatte all’applicazione. «Lavorare su scala nanometrica (1 nanometro = 1 miliardesimo di metro) – spiega sempre Balestra – significa riuscire a ricondurre a dimensioni particolarmente ridotte elementi presenti in natura in grado di esprimere attività antimicrobica. Ciò permette di poterli utilizzare in maniera ottimale nei confronti di microrganismi dannosi».

 

I differenti nanocristalli di cellulosa (NCC) e le nanoparticelle di lignina (NL) ottenuti hanno mostrato un’azione antimicrobica e biostimolante specifica per ciascuna delle piante. In particolare, quelli ricavati da scarti di piante di pomodoro supportano il rilascio di chitosano, una sostanza di origine naturale che mostra efficacia nel contrastare l’agente della picchiettatura batterica del pomodoro e della fusariosi della spiga del grano. Analogamente i nanocristalli e le nanoparticelle da scarti della coltivazione del nocciolo (potatura e gusci) sono in grado di contrastare l’agente della necrosi batterica; quelli provenienti dagli scarti di potatura dell’olivo hanno mostrato proprietà protettiva sulla superficie fogliare delle piante rispetto all’agente causale della rogna, con un’efficacia superiore rispetto a quella dei sali di rame.

Oltre a quelli già analizzati e riutilizzati, sono previsti studi su altri tipi di scarti? «C’è l’imbarazzo della scelta: kiwi, viti, biomassa da qualsiasi coltura da frutto: qualsiasi specie è caratterizzata da lignina e cellulosa, ciò che varia è la quantità e la qualità: come ricercatori, lavoriamo ove c’è resa migliore». Fuori dai laboratori, poi, si passa palla all’industria, affinché, valutati i migliori risultati, si possa giungere alla messa in pratica. Tempistiche? «Stiamo cercando interessati allo sviluppo successivo, per salire su scala industriale; non si tratta di un obiettivo legato a noi come team, ma di una necessità che si è fatta globale: vedi l’alternativa all’uso del rame, ad esempio, da tempo sul tavolo dell’UE».

Per la cronaca, va segnalata la recente deroga all’art. 3 “Uso non professionale dei composti del rame” del decreto interministeriale 20 novembre 2021, adottato dal Ministro della salute di concerto con il Ministro della transizione ecologica e il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, che ha sostituito l’allegato del decreto 22 gennaio 2018: «Regolamento sulle misure e sui requisiti dei prodotti fitosanitari per un uso sicuro da parte degli utilizzatori non professionali».

I composti del rame nella lista delle sostanze attive ammesse in agricoltura sono cinque, tutti con limitazione del quantitativo massimo utilizzabile – 28 kg per ettaro in sette anni – a causa dei potenziali effetti dannosi sull’ambiente: ossido di rame, solfato di rame tribasico e poltiglia bordolese; secondo quanto si legge nel documento ministeriale, sebbene essi mostrino caratteristiche di bioaccumulabilità nel suolo e di nocività per gli organismi acquatici proprie del rame, si caratterizzano per una bassa tossicità acuta per la salute umana, risultando conformi ai requisiti di cui si è tenuto conto ai fini della deroga. Gli ulteriori due (ossicloruro di rame e dell’idrossido di rame) hanno, al contrario, un profilo di tossicità per la salute preoccupante, pertanto non sono stati considerati in relazione alla stessa deroga.

Gli esiti della ricerca UNITUS si possono approfondire nel volume “Nanotechnology-Based Sustainable Alternatives for the Management of Plant Diseases”.

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