Tempo scaduto. La corsa verso l’economia circolare va a rilento

Secondo il Circularity Gap Report 2022, in 50 anni l'uso globale dei materiali è quasi quadruplicato superando la crescita della popolazione. Un dato allarmante se si pensa che più del 90% dei materiali estratti e utilizzati viene sprecato

Immagine distribuita da Forumalternativo con licenza CCO

Quando fu lanciato il primo Circularity Gap Report al World Economic Forum di Davos nel 2018, l’economia globale era circolare solo per il 9,1%. Un dato molto basso e per molti versi allarmante se si pensa che la CE applicata alla produzione, alla supply chain, alla mobilità e a tutti i campi del vivere può aiutarci a raggiungere gli obiettivi di sostenibilità dell’Agenda 2030 molto più facilmente. Secondo le analisi di Circle-Economy che pubblica ogni anno questo rapporto, le pratiche circolari applicate a largo raggio possono ridurre l’estrazione e l’utilizzo delle risorse del 28%, tagliare le emissioni di gas serra del 39% e mantenere l’innalzamento della temperatura globale su 1,5 gradi.

L’uso senza riciclo è abuso

Da cinque anni, il report viene aggiornato ogni anno e, da allora, il trend non è affatto positivo: nel 2022 ricicliamo solo l’8,6% delle risorse che consumiamo. Perché è grave?

Perché poco più di un mese fa abbiamo assistito al triste anniversario delle risorse della Terra per quel che riguarda il nostro paese: l’overshoot day, il giorno che determina l’esaurimento delle risorse naturali per l’anno è caduto il 15 maggio, solo due giorni dopo quello dello scorso anno, il 13 maggio 2021. A livello globale questa giornata, calcolata secondo la quantità di risorse che il pianeta Terra può generare diviso per la domanda di risorse della popolazione globale, dovrebbe cadere a luglio (lo scorso anno il 29), mentre l’anno della pandemia era arrivato ad agosto superando nettamente la metà dell’anno. Esaurire la biocapacità della Terra di sostenerci vuol dire aver bisogno di più di due pianeti e mezzo ogni anno.

Il gap circularity report 2022 ci racconta l’evoluzione dell’uso globale dei materiali che, dal punto di vista ambientale, rappresenta un’involuzione: in soli 50 anni, l’uso globale dei materiali è quasi quadruplicato, superando la crescita della popolazione. Nel 1972, il mondo ha consumato 28,6 miliardi di tonnellate. Nel 2000, questo dato era salito a 54,9 miliardi di tonnellate e nel 2019 ha superato i 100 miliardi di tonnellate.

L’aumento dei livelli di rifiuti sta accompagnando la rapida accelerazione dei consumi: oltre il 90% di tutti i materiali estratti e utilizzati viene sprecato.

L’economia circolare, grande assente ai grandi tavoli

Il sesto rapporto IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) ha definitivamente affermato, per la prima volta, che il cambiamento climatico è guidato da noi: ma come è una nostra responsabilità questo, è anche nelle nostre mani il modo per uscire dall’emergenza e, dal momento che la decrescita non è realmente praticabile, ciò a cui dobbiamo puntare è un approccio etico e rigenerativo che deve diventare la norma. Nonostante i propositi, ma anche gli obblighi da parte delle istituzioni sovranazionali, l’economia è ancora quasi totalmente lineare: questo perché le pratiche circolari non sono contemplate nei grandi incontri internazionali, che si concentrano in modo preponderante sulla transizione energetica, sull’abbandonare i combustibili fossili a favore di energia pulita, come solare o eolico. Entrando in COP26, solo un terzo di tutte le nazioni hanno menzionato l’economia circolare nei loro impegni, mentre meno del 40% includeva eventuali piani per supportarne l’attuazione. Gli sforzi, in definitiva, si concentrano esclusivamente sul ridurre le fonti di energia in industrie ad alto contenuto di gas serra (GHG), cioè elettricità, calore, edilizia, trasporto e produzione. Un intento nobile, trattandosi del 55% delle emissioni. Ma il resto della percentuale?

Se i materiali venissero recuperati, e quindi progettati per essere recuperati, in modo “smontabile” e modulabile, se l’energia residua venisse recuperata e utilizzata per altri scopi (magari nei grandi centri industriali che lavorano in cooperazione di risorse secondo le pratiche virtuose di simbiosi industriale), se si applicasse l’analisi dei dati alla produzione per evitare sprechi nelle fasi seguenti di distribuzione e consumo, si potrebbe lavorare anche sul restante 45% di emissioni.

Vivere entro le possibilità del pianeta, un imperativo etico

La nostra è una società dello scarto, se il tasso di materiale riciclato per i nostri bisogni si è ridotto dal 9,1% all’8,6% in soli due anni. Viviamo in un inevitabile momento di passaggio in cui l’economia lineare è stata mandata in shock dalla pandemia. Gli ultimi eventi sanitari hanno portato cambiamenti anche obbligati da decisioni istituzionali quasi dall’oggi al domani. Tuttavia, il declino apparente dei modelli di consumo si è fatto sentire solo per poco tempo con conseguenze praticamente impercettibili: già nel 2021 abbiamo assistito all’impennata dei prezzi dell’energia perché la domanda di energia e materiali è aumentata di molto, come anche le emissioni di GHG sono aumentate vertiginosamente.

L’economia circolare fornisce un quadro per disaccoppiare lo sviluppo dall’estrazione delle risorse applicando un paradigma completamente naturale. In natura, infatti, nulla va sprecato ma tutto viene trasformato. Nonostante tutto, dal report di circolarità globale 2022 appare chiaro che il tasso di avanzamento nell’estrazione delle risorse supera i miglioramenti in termini di efficienza nel recupero del materiale a fine uso, che risulta essere sempre meno.

Le 21 soluzioni proposte dal report si concentrano tutte sui tre settori più impattanti dal punto di vista delle emissioni: la mobilità, il settore edile, il cibo. Sono questi i campi più energivori e sottoposti allo spreco, ed è in questi che l’economia circolare può dare il suo contributo.

Roadmap

Le 21 soluzioni della roadmap proposta da Circle-Economy per il rapporto 2022 si basano proprio sui bisogni sociali suddetti, i principali, quelli su cui più si concentra lo spreco – la mobilità, l’abitare, il cibo – senza trascurarne altri ugualmente importanti e che hanno a che fare con la tecnologia e il digitale: al primo posto si parla di progettare tecnologie ICT più leggere ed efficienti all’insegna della digitalizzazione di prodotti e servizi e dell’uso dei dati; poi si sottolinea la riparazione, manutenzione e design durevole dell’attrezzatura medico-sanitaria, sostituzione degli articoli medici monouso con articoli riutilizzabili e assistenza sanitaria virtuale; riparazione, manutenzione, condivisione e uso di seconda mano di tessili, elettrodomestici, mobili, macchinari e attrezzature; design e utilizzo efficienti dei prodotti di consumo più comuni (carta, tessuti, mobili, beni elettronici…); migliore utilizzo dei veicoli: guida a basso consumo di carburante, car pooling/sharing, costruzione modulabile e circolare delle auto e dei veicoli inquinanti in modo da renderli riparabili e riciclare i materiali; ridurre viaggi e trasporti grazie al telelavoro e al consumo su base locale, sempre da prediligere. Infine, la dieta sana, che è uno degli aspetti più importanti e meno considerati dal punto di vista della sostenibilità. Nelle linee guida di Circle-Economy troviamo diversi consigli su questo: il consumo di alimenti per lo più vegetali, non trasformati, alimenti biologici, freschi e di stagione ci farebbe risparmiare un miliardo di tonnellate di gas serra. Non mancano i suggerimenti sugli spazi, che dovrebbero diventare multifunzionali, e sulla costruzione degli edifici che dovrebbe arrivare a riciclare molto del materiale demolito.

Sviluppo insostenibile e disuguaglianze

Tutti abbiamo un ruolo da svolgere nella transizione circolare: imprese, città e nazioni. In particolare, i decisori e i governi locali e nazionali dovranno fornire indicazioni e condizioni abilitanti, i consumatori dovranno fare scelte che incoraggino la circolarità e le aziende dovranno riprogettare i propri processi e prodotti da zero.

Nazioni e governi hanno il potere di creare le condizioni che abilitano e promuovono, o addirittura ostacolano le trasformazioni circolari. Queste condizioni hanno impatti inevitabili e conseguenti sulle loro imprese e città. La tassazione, ad esempio, è un potente strumento per creare i giusti incentivi che guidino il comportamento degli attori del mercato, come la promozione di diete a base vegetale (già priorità di alcuni paesi) o l’aumento della quota di materiali secondari nelle attività di costruzione. Ma anche i divieti hanno un ruolo da dissuasori: ad esempio il divieto di sostanze chimiche inquinanti e sacchetti di plastica, mentre alcune regole come i minimi obbligatori di contenuto riciclato negli imballaggi possono avere un ruolo centrale.

Dobbiamo ricordarci sempre che a determinati paesi corrispondono determinate responsabilità. Per influenzare il nostro futuro climatico nelle prossime generazioni, e affinché si vedano realmente i risultati, la roadmap globale – sostiene Circle-Economy – deve essere adattata a percorsi nazionali, e cioè alla disuguaglianza delle emissioni di CO2.

Quasi la metà (48%) delle emissioni totali nell’ultimo quarto di secolo è attribuibile al 10% più ricco del globo, mentre il 50% più povero ne è responsabile solo per il 7%. E con una crudele ironia, sappiamo che le nazioni a basso reddito che contribuiscono con il minor numero di emissioni sono anche però quelle più vulnerabili agli impatti del crollo climatico. Tali nazioni stanno ancora lottando per ricevere adeguati finanziamenti delle nazioni più ricche, a seguito del fallimento di COP26 su questo fronte.

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