#DigitalTransformation: come cambia il lavoro del futuro?

5 milioni di posti di lavoro sono a rischio sostituzione per effetto dell’entrata a pieno regime nel mondo del lavoro, industriale e non, di robot e sistemi di intelligenza artificiale. L’ultimo allarme arriva dal “The Future of Jobs”, presentato nel corso dell’ultimo World Economic Forum di Davos, secondo il quale i prossimi cinque anni saranno cruciali per il lavoro per come lo abbiamo sempre conosciuto.

Non è certo la prima volta che si parla di una tale possibilità ma forse è la prima volta che, anche per effetto della digital transformation, tali futuristiche previsioni trovano un terreno adatto alla riflessione, al di là degli allarmismi. Secondo OCSE nel periodo 2015-2020 la cosiddetta quarta rivoluzione industriale, basata su intelligenza artificiale, robotica, stampa 3D, distruggerà 7,1 milioni di posti lavoro a fronte di 2 milioni di nuovi.

Quel che è certo è che il lavoro sta cambiando per effetto della pervasività delle tecnologie e del digitale: già nel 2013 uno studio molto citato della Oxford University ha stimato che, in 20 anni, la metà dei lavori oggi esistenti negli Stati Uniti scomparirà.

Al WEF si è aggiunto un altro tassello alla discussione, ovvero l’estrema velocità con cui la trasformazione digitale nelle sue diverse forme, dall’innovazione tecnologica passando a quella di prodotto e di processo, sta abbreviando il ciclo di vita delle conoscenze necessarie per molti lavori: se skill e competenze permettevano ai lavoratori di eseguire i loro incarichi per molti anni, la velocità dell’innovazione tenderà sempre più a velocizzarne l’obsolescenza delle competenze, con ricadute consistenti non tanto sui livelli occupazionali, quanto sulla tipologia di competenze da possedere per affrontare il cambiamento.

Non si tratta però di uno scenario che deve far necessariamente allarmare. Secondo il report tutto dipenderà da come imprese e Stati sapranno accompagnare il cambiamento: è vero che molti lavori verranno sostituiti ma è anche vero che questo vorrà dire poter “liberare” e formare nuove professionalità, con beneficio per le aziende ma anche per i lavoratori. Nel complesso i vantaggi derivanti dalla digital transformation si tradurranno in un guadagno a fronte della perdita, sopra indicata, di 2 milioni di posti di lavoro legati a mondo dell’IT, matematica, architettura e ingegneria, ma anche statistica e big data analisys.

Il ruolo delle competenze

Obbligatorio, dunque, che imprese e PA si pongano da subito la domanda su come affrontare la digital transformation anche (soprattutto?) dal punto di vista delle competenze di cui dotarsi.

Lo scenario, al momento, non è dei più rassicuranti: secondo l’Osservatorio delle Competenze Digitali – condotto da AICA, Assinform, Assintel e Assinter Italia e promosso dall’Agenzia per l’Italia Digitale – le competenze digitali, in Italia, sono diffuse a macchia di leopardo: dal 37% per la PA locale al 73% per le aziende tecnologiche. E c’è poca formazione interna, la media è di 6,2 giornate l’anno nelle imprese ICT, 4 nella PA e solo 3 nelle aziende utenti. Manca, poi, quando si parla di carriere universitarie in relazione al mondo del lavoro digitale, una condivisione dei percorsi e degli skill che servono alle aziende più innovative.

Lo sostengono anche i dati dell’Osservatorio HR Innovation Practice della School of Management del Politecnico di Milano secondo cui le aziende italiane sono alla ricerca di “Digital Capabilities”, nuove professionalità e competenze in grado di interpretare al meglio le nuove opportunità della digital tranformation rivolgendo particolare attenzione a profili di eCRM & Profiling Manager, Digital Marketing Manager e Chief Innovation Officer, non senza difficoltà a reperirli all’interno della popolazione aziendale o sul mercato.

Perchè oggi parlare di digital skill in ottica di digital transformation è sempre più una priorità per le imprese?

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Enrico Martines, HR Manager di HPE

“Il mondo di oggi – afferma Enrico Martines, HR Manager di Hewlett Packard Enterprise – si evolve alla velocità dell’immaginazione. Attraverso la trasformazione digitale è ora possibile ampliare o addirittura inventare nuovi segmenti di mercato, avendo una buona idea e realizzandola in modo semplice ed immediato, accedendo a servizi ed infrastrutture che si possono acquistare comodamente da casa, pagando con carta di credito! Tutto ciò, fino a pochi anni fa, era impensabile. E’ l’economia delle idee. Quella che si basa sulla accelerazione delle start-up, sulla capacità di coinvolgimento del crowd-funding, sullo sviluppo dell’innovazione attraverso il Cloud, la Sicurezza, i Big Data ed il Workplace. Questi sono i nuovi fattori evolutivi del mercato e ormai il business, qualsiasi business, non può farne a meno se vuole rispondere alle esigenze dei propri clienti. La formazione e le nuove competenze digitali pertanto, diventano un elemento abilitante alle nuove tecnologie, in un processo di evoluzione ed aggiornamento costante, sia da un punto di vista di impianto (eSkills) , sia da un punto di vista di indirizzo (eLeadership)”. 

Il ruolo delle soft skill

Nessuna skill sarà poco importante con la digital transformation: professioni tecniche, scientifiche, informatiche, matematiche, ma anche legate alla comunicazione, al marketing e alle gestione del personale. Serviranno anche quelle che comunemente chiamiamo soft skill, ovvero competenze trasversali lette alla luce dell’evoluzione digitale, capacità di tipo relazionale e comportamentale che consentono alle persone di utilizzare efficacemente i nuovi strumenti digitali per migliorare produttività e qualità delle nuove attività lavorative svolte.

Il settore dei servizi è quello più maturo dal punto di vista delle Digital Soft Skill. In particolare le aziende appartenenti ai settori ICT, Consulenza, Media e Telco mostrano livelli di maturità maggiori soprattutto negli ambiti Knowledge Networking e Creativity.

Quali le azioni messe in atto da HPE finalizzate a supportare la crescita della cultura digitale?

“È profondamente radicato nella nostra cultura – continua Martines – il restituire benessere nel territorio dove lavoriamo. Siamo presenti in Italia da oltre 50 anni e crediamo sia un dovere morale per le aziende, occuparsi del progresso del proprio Paese. E oggi progresso significa piena cittadinanza digitale, per un utilizzo consapevole delle tecnologie. In HPE promuoviamo un approccio multigenerazionale, finalizzato all’indirizzo dei codici più adatti agli interlocutori per sostenere le specifiche attitudini di apprendimento.

Sosteniamo i “Baby Boomers” con il progetto “ABCDigital”, promosso con Assolombarda nel contesto di “Far Volare Milano”, attraverso i nostri volontari che formano i ragazzi delle scuole secondarie di secondo grado, affinché possano accogliere gli over 60 nelle scuole, per una attività di reverse-mentoring che li porti a conoscere l’uso di internet, i servizi digitali e renderli autonomi nell’uso delle tecnologie.

Relativamente alle generazioni “X & Y”, abbiamo sviluppato un programma per propagare le competenze digitali nell’uso dei social network e nel come cambiano le relazioni sociali mediate dal web; il nostro progetto, “Good to Know”, consiste in una serie di webinar in pillole da 15/20 minuti che, dopo una prima diffusione interna all’azienda, sono state rilasciata nel pubblico dominio attraverso il nostro canale YouTube.

Infine, prestiamo una particolare attenzione ai “Nativi Digitali”, alle tematiche legate alla loro sicurezza in rete, nonché allo sviluppo del pensiero computazionale. Abbiamo aperto da due anni tre centri “CoderDojo” a Milano, Roma e Bari dove ogni mese eroghiamo gratuitamente corsi di formazione per la diffusione del coding e delle basi della robotica ai ragazzi dai 7 ai 17 anni; inoltre, 80 volontari HPE supportano i docenti scolastici per la promozione del progetto “programmailfuturo.it”, in collaborazione con il MIUR ed il CINI, per la diffusione della programmazione nelle scuole; e ancora, con il nostro progetto “Safe2Web”, realizziamo incontri con genitori, docenti e ragazzi nelle scuole secondarie, per una maggiore consapevolezza sulle tematiche del cyberbullismo e dell’adescamento in rete, a sostegno di una  fruizione sicura del web; lo scorso anno, i volontari HPE hanno incontrato 2.000 ragazzi realizzando oltre 4.500 ore di formazione.”

Quando si parla di digital transformation nelle imprese, così come nella PA, quello che conta è comprendere la multidimensionalità del fenomeno, fatto di fattori umani, competenze tecniche e di relazione, fatto di cultura e di gestione e avvicinamento al cambiamento.

Il vero allarme che lancia il WEF nel citato The future of Jobs è quello del non perdere tempo: strutturare da oggi, subito, quello che serve per pianificare una transizione digital che sia una opportunità per la forza lavoro e per le giovani generazioni. Perdere la possibilità di incidere sul futuro e doverlo quindi subire dando ragione, allora sì, agli apocalittici che vedono nell’innovazione esclusivamente una minaccia per le persone, sarebbe una sconfitta.

(foto Mixabest, CC-BY-SA 3.0)

 

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