Smart city: manca governance della PA? Intervista a Mario Daviddi

Parlare di ostacoli per un progetto di Smart City è importante, ma potrebbe essere prematuro: forse dovremmo parlare di cosa serve per favorire un mercato che sta nascendo ora.” Mario Daviddi, Direttore BU Pubblica Amministrazione presso Yousave SpA ragiona dei risultati della ricerca realizzata dal Digital Transformation Institute, in collaborazione con Cisco Italia, Smart city: quali impatti sulle città del futuro?

Fino ad oggi abbiamo assistito ad un mercato favorito da alcuni produttori di tecnologia o fornitori di servizi “smart” e su questi si è cercato di costruire qualcosa. La realtà è che solo ora si comincia a ragionare attraverso una visione veramente organica, anche a livello di profondità scientifica. Ad esempio, lo scorso anno, la nostra azienda ha fatto uno studio sulle eccellenze, europee e mondiali, in ambito “smart”. Ciò che è emerso è che, finora, questi premi (o menzioni) sono stati dati, semplicemente, a dei progetti pilota. Vale a dire situazioni molto limitate. È per questo che, secondo me, è necessario ragionare su cosa serve per favorire un mercato in costruzione.

Secondo Mario Daviddi, infatti, ci troviamo ad agire in una generale mancanza di governance da parte della PA, ma non solo. Non meno importante è la carenza di competenze adeguate e di visione. C’è la tendenza ad affrontare in maniera settoriale e non sistemica determinati argomenti, ad esempio, se si affronta il tema dell’efficienza energetica si tende a guardare settorialmente al tema del termico, dell’elettrico, ecc. E il quadro normativo non aiuta. Lo stesso accade, però, anche a livello formativo: nelle università, a livello di specializzazioni, non vengono create figure preparate ad occuparsi della pianificazione del territorio in ottica smart.

Il risultato porta al fatto che quello che si fa, tendenzialmente, è installare degli apparati diversificati, con l’idea di rispondere a delle esigenze del cittadino e risolvere la questione delle Smart City, senza realisticamente preoccuparsi dei servizi che dovrebbero essere veicolati (e qui entra in gioco la PA).

Andare a Milano, piuttosto che a Siena è evidente che comporti esigenze differenti. C’è una base comune che è quella tecnologica che si traduce nell’avere la possibilità di raccogliere informazioni e trasmetterle verso database centrali. Poi, però, queste informazioni come si traducono in servizi a valore aggiunto? Qua entra in gioco l’amministrazione locale, il territorio, la politica, che decidono cosa è più adatto a un determinato territorio.

Rispetto alla dimensione tecnologica vi sono degli elementi di criticità?

La questione più preoccupante è legata alla presenza di approcci completamenti differenti, tecnologie e soluzioni spesso non standardizzati. Inoltre non c’è chiarezza su quali siano effettivamente i benefici economici. La tecnologia può rappresentare un problema nel momento in cui il produttore di tecnologia si rivolge direttamente alla PA per vendere il proprio prodotto e non al soggetto intermedio, che è quello che offre il servizio. Il gestore di servizio è in grado di garantire il connubio tra tecnologia e servizi e massimizzare così i risultati. Se mi rivolgo, invece, direttamente all’utente finale il mio unico interesse è quello di vendere, ma se poi un determinato servizio viene offerto o meno poco conta. Questo accade molto spesso e, per quanto riguarda il mio lavoro, risulta essere l’ostacolo maggiore che incontriamo. Si scelgono le tecnologie senza sapere, o meglio senza interessarsi, a quale servizio siano collegate.

Quanto, in questo contesto, è utile capire le necessità dell’utente finale?

I cittadini sono fondamentali perché sono coloro che ricevono il servizio e, potenzialmente, rappresentano anche gli utenti finali a cui vendere il servizio. La realtà è che se si comincia a progettare qualcosa di “smart” da zero e da subito si cerca di coinvolgere i cittadini, le richieste sono così tante e diversificate che non si riuscirà mai a soddisfarle. Allora serve un primo livello di investimenti che è quello infrastrutturale. Questo deve essere fatto indipendentemente dai cittadini. Servono, più che altro, competenze tecniche all’interno dei Comuni, che s’incarnano in un ruolo (anche di un soggetto esterno a livello istituzionale) in grado di guidare i Comuni a capire se le proposte del privato siano oggettivamente proposte valide. Solo allora può seguire un coinvolgimento del cittadino.

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