Tecnoesclusi destinati a estinguersi?

Un articolo di qualche tempo fa, basato su elaborazione dei dati Eurostat e Istat 2015, parlava di “tecnoesclusi” d’Italia. Quasi 3 italiani su 10 che non solo non accedono a Internet ma che sono fuori dalle tecnologie digitali, a eccezione del telefono cellulare. Su 100 italiani, 28 non hanno mai usato Internet, né un computer (la media europea è del 18%, in Svezia i tecnoesclusi sono il 5%). Peggio del nostro Paese solo Grecia, Romania e Bulgaria (ma qualcosa la diceva a riguardo pure il DESI 2016 con una triste quartultima posizione).

Una situazione – commenta Anorcche ricorda lo scenario dei primi anni dell’Italia unita: una media del 78% di analfabeti, con punte che raggiungevano il 90% in alcune porzioni del territorio. La gran parte di questa fetta era composta da donne ed anziani. Nel tentativo di arginare la drammatica “questione”, il neo Stato italiano decise di intraprendere a livello Ministeriale una politica che, partendo da una metodologia fondata su studi e statistiche di settore (tra cui l’inchiesta pubblicata nel 1865 dal ministro Carlo Matteucci e la statistica dell’istruzione pubblica in Italia curata dal ministro Aristide Gabelli nel 1873), approdasse all’elaborazione di un disegno di legge efficace, per la formazione degli “italiani”. Centocinquanta anni dopo si ripresenta nel nostro Paese la necessità di una seconda alfabetizzazione del Paese, quella digitale. Una fase, che come la prima, si accompagna a percentuali preoccupanti di “tecnoesclusione”, (assimilabile alla nuova forma di analfabetizzazione) che vede quasi tre italiani su dieci completamente tagliati fuori dall’acquisizione di adeguate competenze digitali, a eccezione di quelle necessarie per l’utilizzo del telefono cellulare. Ma la politica continua a ignorare i dati reali di un’Italia che arranca e nonostante questo continuano a susseguirsi normative o Piani triennali per la trasformazione digitale”.

A osservare i grafici elaborati da Observa si nota con chiarezza che la tecnoesclusione riguarda soprattutto la popolazione meno scolarizzata e più anziana, incapace probabilmente di trovare nel digitale un reale aiuto nel vivere la quotidianità ma anche una popolazione poco “accompagnata” e che per questo dimostra anche un atteggiamento di chiusura verso l’innovazione.

Andrea Lisi, presidente dell’associazione ANORC Professioni, impegnata da tempo insieme ad ANORC nella diffusione delle competenze digitali, commenta così il report di Observa: “La ricerca ovviamente si sofferma solo su un’alfabetizzazione digitale minima che è totalmente assente nel nostro Paese con percentuali piuttosto incredibili che raggiungono tre italiani su dieci. Ma se dovessimo andare ad analizzare la conoscenza che i cittadini hanno (o dovrebbero avere) dei loro diritti in qualità di cittadini digitali (diritti attivi nell’ordinamento italiano e racchiusi in larga misura nel Codice dell’Amministrazione Digitale), allora si raggiungerebbe senz’altro quella percentuale spaventosa del 78% di analfabetismo sostanziale, che riguarda tutti coloro che ignorano totalmente ciò che oggi ex lege l’egovernment dovrebbe offrire. C’è un articolo del CAD (art. 8) incredibilmente inattuato da ormai più di dieci anni e che prevede espressamente che lo Stato e tutti gli enti pubblici devono promuovere iniziative volte a favorire la diffusione della cultura digitale tra i cittadini con particolare riguardo ai minori e alle categorie a rischio di esclusione, anche al fine di favorire lo sviluppo di competenze di informatica giuridica e l’utilizzo dei servizi digitali delle pubbliche amministrazioni con azioni specifiche e concrete, avvalendosi di un insieme di mezzi diversi fra i quali il servizio radiotelevisivo. A chi conviene che i cittadini italiani siano degli analfabeti digitali?”

Non troppo convinta della correttezza del quadro disegnato dai dati statistici invece Marta Mascolo.

Certamente – dice – in Italia c’è una diffidenza generale verso il nuovo, ma contestualmente ci sono anche molte giovani realtà anche imprenditoriali basate sul digitale e si misura un incremento dell’utilizzo dei social a fini esperienziali (anche solo) del tempo libero. Questo ha posto a mio avviso le basi per una (quanto meno) consapevolezza di internet e delle nuove tecnologie anche nel pubblico più ostile. Foto di compleanno della nonna che compie 93 anni postate su Facebook al grido di “Nonna facciamoci un selfie” dimostra un’”accettazione” della trasformazione epocale in corso dove la tecnologia si insidia in ogni oggetto usato quotidianamente. Forse i campioni delle ricerche che ci capita di leggere non sono così attendibili come un tempo, forse e dico forse, le modalità di selezione del campione e le scelte di catalizzazione dei candidati potrebbero o dovrebbero abbracciare proprio le nuove tecnologie mediate dal supporto offline, relazionale, per un’analisi più obiettiva di quella che è certamente, una società complessa, ma meno indietro di quanto si pensi”.

Parla di effetto Digital Divide la nostra visionist Rosanna Consolo: “Tecnoesclusi: davvero una questione di “apertura al nuovo” o anche una perdurante situazione di “esposizione al vecchio”? La ricerca che evidenzia il dato del 28% di italiani fuori dall’innovazione digitale fa emergere qualche domanda sostanziale non tanto sulle attitudini personali, quanto su un effetto “digital divide” indotto da motivi multifattoriali: strumenti e device che a volte non fanno in tempo – ed esauriscono le forze – di essere aggiornati all’incessante richiesta di media più performanti, strategie di realizzazione dei servizi che faticano a diventare “digitali” come status, un approccio alla tecnologia e all’innovazione che non si è fatto pensiero sociale e, come tale, educativo e politico. Non bastano leggi a far scendere la bacchetta magica dell’inclusione tecnologica: servono politiche strutturali. Anche di digital literacy. Se le porzioni di “tecnoesclusi” fotografati in persone con un certo tipo di istruzione e afferenti ad alcune fasce d’età fossero invitate al nuovo e accompagnate ad esserci, forse non dovrebbero rientrare in modo passivo nella categoria di chi è escluso… che per sua definizione presuppone che qualcun altro stia escludendo.
La ricerca può aiutare a chiedersi chi abita questa categoria e a interrogarne i motivi: per conoscerli, capirli e – why not – affrontarli. Non è un obbligo essere nel processo della partecipazione determinata dai media digitali ma esserci o non esserci sarebbe importante che fosse una scelta e non una conseguenza di scelte altrui. Sperando che la Società dell’Informazione per tutti diventi strategia di un pensiero e di un agire reale“.

Il problema non è tanto se i tecnoesclusi siano o meno destinati ad estinguesti, quanto piuttosto che rischiano di fare estinguere tutto il Paese – chiosa Stefano Epifani, direttore di Tech Economy e Presidente del Digital Transformation Institute. Purtroppo la trasformazione digitale non è un fenomeno che si può sviluppare ‘a corrente alternata’, in un contesto in cui qualcuno decide di muoversi e altri decidono di stare fermi. Questo approccio può forse gemmare qualche startup, ed il nostro – comunque – non è un Paese per startup, ma per fare della trasformazione digitale uno strumento di sviluppo è necessario agire in termini di ecosistema, altrimenti rimarremo vittime delle esternalità negative di rete, capaci di trascinare verso il basso anche chi vorrebbe crescere e che invece rischia di rimanere schiacciato sotto il peso della zavorra di un Paese immobile”. 

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