Startup e PMI innovative: va tutto benissimo. O no?

Le startup e le PMI innovative si dimostrano sempre più leva strategica per lo sviluppo economico del Paese e oggi rappresentano un asse integrante del Piano Impresa 4.0”. Così il Ministro Calenda definisce le startup e le PMI innovative nell’introduzione della Relazione Annuale al Parlamento startup e PMI innovative sullo stato d’attuazione e l’impatto delle policy a sostegno di Startup e PMI innovative, presentata nelle settimane scorse.

Le imprese innovative – scrive ancora Carlo Calenda – sono cresciute in maniera significativa raddoppiando il loro numero negli ultimi due anni e ad oggi non sono più considerabili come una realtà di nicchia visto che esprimono complessivamente oltre 2 miliardi di euro di fatturato e offrono circa 50mila posti di lavoro: tali valori, seppur in crescita, sono ancora lontani da benchmark internazionali”.

Al 30 giugno 2017, si legge nella relazione, le imprese iscritte alla sezione speciale del Registro delle Imprese (condizione necessaria per l’accesso al regime agevolativo di startup innovativa) sono 7.398 (+24,5% rispetto al 2016), con una media di 253 nuove iscrizioni al mese nel primo semestre del 2017 (a fronte di una media storica di 172). Numeri interessanti, anche se è lo stesso Ministro che in premessa afferma che si può fare di meglio. Molto meglio.

A leggere, infatti, un altro rapporto sulla situazione europea, The State of European Tech, rapporto del fondo venture capital Atomico realizzato in collaborazione con Slush, l’ecosistema di venture capital non rispecchia il potenziale italiano. Se si vanno a spulciare i numeri sugli investimenti in startup pro-capite, si legge che in Italia ammontano a 3 dollari, con Israele in testa (304 dollari) seguita dagli Stati Uniti (246 dollari). Quasi ultimi della classifica, insomma.

Fonte: The State of European Tech

Sarà una tendenza europea, dirà qualcuno. Ma invece no. Perché a leggere i dati della UE e di molti altri Paesi viene voglia di chiudere il rapporto e riprendere a leggere la relazione nostrana.

L’Europa, infatti, nel 2017 ha visto investimenti per 19 miliardi di euro in ambito start-up, con un numero di occupati triplicati rispetto agli altri settori dell’economia e un totale di 5,5 milioni di sviluppatori contro i 4,4 degli Usa. Gli ambiti più gettonati intelligenza artificiale (4,6 miliardi $), Saas (4 miliardi) e hardware manufacturing (2,9 miliardi di dollari) e Internet of Things (2,3 miliardi). Circa 2000 gli investitori statunitensi che nel 2017 hanno fatto almeno un accordo in Europa, più del doppio rispetto al 2012.

E l’Italia?

Mentre per investimenti hi-tech il primo posto spetta alla Gran Bretagna, il secondo alla Germania e il terzo alla Francia, il nostro Paese si ferma al 14° posto.

Quando si parla di ‘ecosistema delle startup’ – dice Stefano Epifani, presidente del Digital Transformation Institutedobbiamo stare attenti a che non si finisca in quello che qualcuno definì tanto tempo fa ‘modello Klondike’: ossia quel modello in cui quando c’è una corsa all’oro gli unici che ci guadagnano sicuramente sono coloro i quali vendono picconi. E non serve chiedersi chi sia, nel mondo delle startup, a venderli. Inoltre, quanto alle dimensioni del fenomeno, non sono certo gli Startupper a mancare nel nostro Paese, semmai gli investitori, e questo dipende anche dal fatto che in un Paese ove siamo riusciti ad inventarci un ‘registro’ anche per le Startup il livello di complessità del nostro ‘ecosistema’ è altissimo. Rigidità e burocrazia non sono certo inventivi e la soluzione non può essere quella di consentire l’apertura di una società con un euro, quando per chiuderla ce ne vogliono migliaia. Siamo ancora vittime del sogno romantico delle startup nate nei garage, e ci scordiamo che se è vero che Apple è nata in un garage è anche vero che al piano di sopra del palazzo c’era l’Università di Stanford”.

Pessimismo cosmico quindi? Se si torna a leggere la relazione di casa nostra no. Da questa emerge infatti che il tasso di mortalità è generalmente molto basso: tra le startup innovative transitate nella sezione speciale solo il 3,2% risulta aver cessato l’attività di impresa. Il tasso di sopravvivenza a due anni è del 95%, mentre a tre anni scende intorno al 90%.

Fonte: The State of European Tech

Se si vuole guardare alla localizzazione dell’innovazione, il 55,2% delle startup è localizzato nel Nord (il 30,4% nelle regioni del Nord-ovest e il 24,8% in quelle del Nord-est), un quarto nelle regioni del Centro e un quarto nel Mezzogiorno. Le regioni che presentano la maggiore presenza di startup innovative sono Lombardia (1.695 startup innovative, il 22,9% del totale nazionale), Emilia-Romagna (810 imprese, il 10,9% del totale nazionale), Lazio e Veneto. La maggiore incidenza delle startup innovative sul totale delle società di capitali si riscontra in Trentino-Alto Adige, Marche e Friuli-Venezia Giulia.

Altra dato incoraggiante: le imprese che beneficiano delle agevolazioni connesse allo status di startup innovativa, a partire dal 2015, hanno in media raddoppiato il loro fatturato nel 2016 e quelle riconosciute come startup innovative dal 2013 e dal 2014 lo hanno addirittura triplicato.

Il panorama italiano – dice Giorgio Rapari, presidente Assintel – è fatto per lo più di giovani, partiti con qualche fondo proprio, che fanno fatica a trovare investitori e che quindi rischiano solo di ‘vivacchiare’ ma non certo di fare il salto di qualità. Il venture capital è scarso, non sufficiente e per questo, come Assintel, quello che stiamo facendo è cercare di agevolare l’incontro tra startup, investitori e aziende. Questo affinché le startup possano trovare fondi e business angel o aziende interessate a inserire elementi di innovazione inglobandole o investendo su esse per crescere insieme. Come Paese non possiamo accontentarci del fatto che dopo un triennio una startup fatturi 80mila euro”. 

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