L’Impronta Carbonica dei Big Data tra data center e l’aumento delle informazioni

I data center sono il cuore dei Big Data, ma il loro utilizzo richiede molta energia elettrica, con rilevanti impatti ambientali: rendere sostenibile questa tecnologia digitale è necessario perché possa essere uno strumento strategico ed essenziale nella lotta al cambiamento climatico

Le enormi quantità di dati che produciamo costantemente attraverso i dispositivi digitali a nostra disposizione rendono necessario chiedersi se questi stessi dati abbiano un qualche tipo di impatto sull’ambiente e in che modo lo condizionino.

Il dato, infatti, necessita di essere immagazzinato e successivamente rielaborato, è questo il presupposto sul quale si basano i Big Data: prima immagazzinare tutto e poi analizzare le correlazioni. E queste due attività hanno un impatto computazionale, e quindi energetico, non irrilevante.

I data center rappresentano il cuore di questa tecnologia digitale perché non solo immagazzinano i dati, ma includono tutti gli strumenti necessari per elaborarli e ridistribuirli. Per fare questo è richiesta moltissima energia elettrica, che oggi è pari a circa il 3% della domanda globale di elettricità: più di quella del Regno Unito. Ma un altro effetto collaterale dei data center sull’ambiente è la produzione dei rifiuti elettronici – i cosiddetti e-waste – che rappresentano il 2% dei rifiuti solidi e il 70% di quelli tossici.

Sul piano delle emissioni questo si traduce in sostanziali volumi di anidride carbonica, che ogni anno vengono rilasciati nell’aria. Per avere un termine di paragone, nel 2018 i data center cinesi hanno prodotto 99 milioni di tonnellate di CO2eq., cioè quanto circa 21 milioni di automobili, un dato tutt’altro che trascurabile sebbene la funzionalità stessa dei data center può essere strategica alla lotta al cambiamento climatico e alla decarbonizzazione.

Un ricercatore di Huawei ha stimato che il settore dell’Information Technology consumerà fino al 20% dell’elettricità mondiale entro il 2030, con i data center che ne utilizzeranno più di un terzo. Questo è da attribuire da una parte all’aumento dei dati che continueremo a produrre – sia noi che le aziende – dall’altra al fatto che si stima un forte utilizzo di quelle tecnologie digitali, come i Big Data, che basano il loro funzionamento proprio sui dati.

Come ridurre l’Impronta Carbonica dei Big Data

Per rendere sostenibili i Big Data sul piano ambientale c’è, dunque, bisogno di un intervento a monte efficientando i data center e i processi di elaborazione/computazione dei dati.

Sul fronte dei data center, Richard Pone di Deloitte, propone un approccio a tre fasi:

  1. ottimizzare le emissioni lungo la catena di approvvigionamento;
  2. ottimizzare l’utilizzo e la qualità degli hardware, così da ridurre anche il tasso di rifiuti elettronici;
  3. garantire l’efficienza energetica dei data center attraverso l’utilizzo di fonti di energia rinnovabili e la riduzione dell’utilizzo di aria condizionata migliorando i flussi di areazione.

Un caso di successo è quello di ACI Informatica che, come già raccontato su TechEconomy2030, ha lavorato molto sull’efficientamento energetico dei data center in un’ottica sostenibile, tanto sul piano ambientale quanto su quello economico, generando risparmi da reinvestire per migliorare ulteriormente l’infrastruttura.

A tal proposito, è stato sviluppato un calcolatore dell’impronta carbonica di un data center in grado di stimare il risparmio economico e di emissioni derivante dal miglioramento dell’infrastruttura. Facendo un esempio pratico si stima che se un data center localizzato in Italia dovesse passare da 2.50 a 2.00 di PUE (indicatore dell’efficienza di un centro di calcolo), con un costo energetico di 0.20€ per kWh, in un anno risparmierebbe circa 876 mila euro e 23 tonnellate in meno di emissioni di CO2eq., pari a 5 auto in meno. Portare i data center italiani ad un PUE pari a 2.00 è certamente un obiettivo ambizioso, ma che proprio in Italia vede esempi virtuosi come il Green Data Center di Ferrera Erbognone di Eni, che con un PUE di 1,171 (top ten mondiale) occupa il primo posto assoluto in Europa e fra i Green Data Center industriali.

Il valore dei Big Data risiede nel fatto che sono in grado di elaborare grosse quantità di dati e svolgere analisi aggregate al fine di restituire degli insight rappresentativi. Spesso, però, succede che i dati che vengono elaborati sono ripetuti, non necessari o anche già analizzati. C’è un termine tecnico per descrivere questa tipologia di dati e cioè ROT che sta per Redundant, Obsolete or Trivial. Si tratta di dati che non sono necessari, che non porterebbero alcun valore aggiunto ma solo uno spreco di risorse.

Diminuire il data ROT vuol dire ridurre il numero dei processi di elaborazione/computazione dei dati che comunque richiedono energia elettrica. Per fare ciò M-files, azienda che si occupa di Intelligent Information Management, suggerisce non solo una selezione a monte di quali sono i dati utili da raccogliere, ma anche di affidarsi ad un unico repository e a dei sistemi di gestione dati in grado di scartare quelli già immagazzinati.

La combinazione dell’efficientamento dei data center da una parte e della riduzione dei dati da processare dall’altra, fa sì che ci sia un approccio strutturalmente più sostenibile all’impiego dei Big Data per la decarbonizzazione. Abbiamo già visto come questa tecnologia possa essere impiegata su più fronti, si pensi alla decarbonizzazione dei trasporti, dell’urbanistica e nella prevenzione degli incendi – sempre più una spina nel fianco per la riduzione delle emissioni – dimostrando come possa essere uno strumento strategico ed essenziale per gli obiettivi dell’SDG13.

Un approccio prettamente pragmatico all’utilizzo dei Big Data rischia, dunque, di risultare miope e di trascurare una serie di problemi strutturali altrettanto importanti alla lotta al cambiamento climatico. Per fare ciò c’è sicuramente bisogno di investimenti e di ripensare questa tecnologia anche dal punto di vista dei consumi ma il gioco ne vale la candela tanto sul piano economico quanto – e soprattutto – su quello dell’ambiente.

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