Il Green Deal come leva della politica estera dell’Unione Europea

L'attuazione del Green Deal Europeo porterà con sè significativi cambiamenti, ma anche rischi, dal punto di vista geopolitico, economico e diplomatico per l'Europa: il rapporto con gli USA, in particolare, sarà fondamentale

Dalla fine del 2019, quando il Green Deal europeo è stato ufficialmente messo in campo dalla Commissione Europea come “agenda per l’ambiente” dell’intero continente, il raggiungimento della cosiddetta “neutralità climatica” entro il 2050 è divenuto l’elemento centrale della politica europea. Ma come esplicitato dalla Commissione nei suoi atti, tra le sei azioni necessarie al raggiungimento di tale traguardo, vi è l’esplicito intento di “collaborare con i partner internazionali per migliorare gli standard ambientali mondiali”. Lungi dall’essere una pura formula di rito, o un atto politico dovuto, questa azione porta con sé importanti implicazioni e cambi di passo significativi sia in materia di politica estera dell’Unione (e dei singoli Stati Membri) sia in termini di strategie geopolitiche per l’intero continente europeo.

Infatti, come hanno dimostrato già in piccola scala le reticenze espresse da alcuni Stati europei, preoccupati per gli impatti che la transizione ecologica avrà sulla crescita delle proprie economie, non è scontata l’adozione dei nuovi standard europei né a livello interno né su scala globale. Se, ad esempio, alcuni Stati come l’Italia hanno trovato la dimensione politico-economica migliore per declinare in un Piano nazionale gli obiettivi del Green Deal Europeo, anche se con alcune criticità ancora connesse alle politiche agricole europee, altri come Repubblica Ceca, Polonia e Ungheria hanno addirittura ipotizzato di lasciare l’Unione Europea nei periodi di maggior preoccupazione per le proprie economie, oggi alimentate prevalentemente da centrali elettriche a carbone.

Oggi molte di queste difficoltà sul piano interno sono state, se non appianate, quanto meno poste sotto la dovuta lente di osservazione da parte delle Istituzioni europee, che a tal fine hanno anche iniziato a disegnare una serie di misure specifiche per favorire la transizione delle economie europee verso standard sostenibili senza penalizzare le popolazioni (attraverso il fondo per la transizione giusta, ma anche con misure specifiche della Banca Europea degli Investimenti).

Una nuova politica estera europea: diventare “pivot” della transizione green

A febbraio del 2021, Bruegel ha pubblicato un suo studio dal titolo piuttosto significativo “The Geopolitics of the European Green Deal”, nel quale l’autorevole think-tank europeo ha reso esplicito l’impatto che avrà su scala mondiale la scelta comunitaria in materia di sostenibilità ambientale; soprattutto, quali implicazioni nel medio e lungo periodo ciò comporterà per la definizione delle priorità europee in termini geopolitici, economici e diplomatici.

Sono, infatti, tutte e tre queste dimensioni: geopolitica, economica e diplomatica, ad essere profondamente modificate sia nel medio che nel lungo periodo dalla messa in opera del Green Deal europeo, comportando necessariamente l’adozione di nuovi equilibri e di delicate azioni diplomatiche, ciò per rafforzare la propria posizione internazionale senza subirne i contraccolpi in termini di esportazioni o sicurezza degli approvvigionamenti di materie prime.

Sono tutte e tre le dimensioni geopolitica, economica e diplomatica ad essere profondamente modificate sia nel medio che nel lungo periodo dalla messa in opera del Green Deal europeo, comportando necessariamente l’adozione di nuovi equilibri e di delicate azioni diplomatiche

Il Green Deal rappresenta certamente uno sprone per le altre potenze mondiali necessario per l’Europa, visto che da sola il proprio impatto sulle emissioni di gas serra globali è inferiore al 10% sul totale; ma in termini diplomatici e geopolitici non si può, ad esempio, non tenere conto del fatto che l’Europa importa il 20% della produzione di greggio mondiale, e la sola riduzione progressiva di questa domanda impatterebbe su molte economie mondiali connesse alla estrazione e all’export di petrolio. Medesimo discorso riguarda l’import energetico da parte di altri importanti partner ed attori geopolitici anche di livello globale: se si considera, ad esempio, che soltanto nel 2019 l’Unione Europea ha importato energia per un valore pari a 320 miliardi di euro da altri Stati, e che solo per la Russia l’export di energia equivale al 60% di tutte le sue esportazioni verso l’Europa, diviene chiaro come potrebbero mutarsi drasticamente rapporti ed equilibri non soltanto con la Federazione Russa ma anche con Algeria e Norvegia, che hanno in Europa il loro principale mercato di esportazione di greggio.

I rischi geopolitici del Green Deal: il difficile equilibrio tra ambiente ed economia

D’altra parte, sempre lo studio di Bruegel mette in guardia sulle implicazioni conseguenti per l’Europa su altri fronti: infatti, se l’Europa potrebbe valutare poco significativi gli effetti indiretti connessi alla riduzione delle importazioni di materie prime fossili da altre nazioni, è pur vero che la transizione energetica richiede una trasformazione tecnologica connessa a materiali e tecnologie non tutte disponibili in Europa. Fra le terre rare ci sono, ad esempio, diversi metalli che costituiscono le materie prime indispensabili per la creazione di alcuni componenti tecnologici necessari alla transizione ecologica e non solo; tuttavia, i giacimenti di queste materie prime sono presenti per la maggior parte soltanto in Cina, e ciò comporterà una sempre maggiore esigenza di stringere rapporti commerciali e diplomatici con questa grande potenza. Infine, anche il rischio di una politica “troppo green” in termini di standard e certificazioni su merci e produzioni straniere, potrebbe ritorcersi contro l’Europa, che se accusata a livello globale di azioni di protezionismo (magari nell’ambito internazionale della World Trade Organization), potrebbe veder compromessi i propri livelli di esportazione.

L’Europa, gli Stati Uniti e l’Italia nella corsa 2021 alla diplomazia green

Il 9 Marzo 2021, il Commissario Europeo per l’Azione per il Clima Frans Timmermans, ha accolto con un caloroso discorso il rappresentante per l’ambiente degli Stati Uniti John Kerry. “Lavoreremo congiuntamente per un risultato di successo a Glasgow. Sarà un bello sforzo arrivarci, sarà un bello sforzo convincere gli altri grandi attori del mondo a fare la cosa giusta. – ha dichiarato Timmermans nel suo discorso – Ma sono assolutamente convinto che gli Stati Uniti e l’Europa lavorando insieme, possano spostare le montagne e assicurarci di consegnare un clima in cui i nostri figli e nipoti possano vivere. Un mondo che sia vivibile, un mondo che impari a vivere entro i limiti del pianeta”.

L’arrivo di John Kerry, infatti, diretto emissario del Presidente Biden per le questioni riguardanti il clima, è il primo passo di una strategia diplomatica volta a rinsaldare i rapporti tra le due sponde dell’Atlantico; una strategia che come primo passo ha visto il rientro degli Stati Uniti negli accordi di Parigi 2015 per il Clima. Il secondo passaggio dovrebbe essere quello di portare Europa e USA ad un accordo (politico, normativo ed economico) comune, che si traduca in standard ambientali condivisi sia per quanto riguarda l’uso di energie rinnovabili sia per quanto concerne standard di prodotti ed esportazioni. Infatti, la posizione “isolazionista” di Trump, ha lasciato negli scorsi anni campo libero all’Europa per essere la promotrice di norme che in futuro detteranno gli standard condivisi tra i Paesi sviluppati in materia di ambiente, produzione e scambi commerciali. Lasciare all’Unione Europea questa totale libertà di azione potrebbe significare per gli Stati Uniti veder compromessi settori produttivi come quello dell’automotive; inoltre, l’Unione sta puntando sul sostegno allo sviluppo di batterie di nuova generazione e questo rappresenta un ulteriore punto di competizione con gli Stati Uniti.

L’accelerazione degli USA nello sviluppare il proprio Green New Deal, è per l’Unione Europea ed il suo Green Deal Europeo un’opportunità di dialogo ma allo stesso tempo un rischio: quello di vedere passare in secondo piano le proprie politiche ambientali

È per queste ragioni che l’accelerazione degli USA nello sviluppare il proprio Green New Deal, è per l’Unione Europea ed il suo Green Deal Europeo un’opportunità di dialogo ma allo stesso tempo un rischio: quello di vedere passare in secondo piano le proprie politiche ambientali. Non a caso, dopo la grande accoglienza riservata a John Kerry ai primi di marzo, nei giorni immediatamente successivi Timmermans si è affrettato a sollecitare gli altri Stati europei nell’approvare la normativa sul clima prima del “Meeting sul clima” del 22 Aprile 2021 annunciato dal Presidente Biden. Infatti, il 22 Aprile il Presidente USA Biden ha colto immediatamente l’occasione per “alzare l’asticella” sul livello di riduzione delle emissioni statunitensi, cercando di guadagnare almeno “mediaticamente” una posizione pari se non più avanzata rispetto a quella europea. Dopo questo appuntamento negli USA promosso da Joe Biden, al quale l’unione è giunta nonostante le pressioni di Timmermans soltanto con un accordo provvisorio sulla legge sul clima ratificata poi solo a Giugno, l’unico e definitivo step che resta per definire i nuovi accordi sul clima sarà quello della conferenza COP 26 di Glasgow ai primi di Novembre del 2021; conferenza per la quale gli USA si stanno già preparando anche attraverso lo sviluppo di un protocollo ambientale comune tra Stati Uniti e Giappone in chiave anti-cinese.

Se l’Unione Europea e gli USA, prima della conferenza di Glasgow di novembre, ponessero le basi della futura integrazione euro-atlantica per la sostenibilità ambientale, allora l’Europa potrebbe dirsi protagonista dei futuri sviluppi ambientali ed economici globali. In alternativa, il rischio è che gli Stati Uniti tentino un accordo con la Cina (anch’essa alle prese con un grande piano di transizione ecologica) o con i suoi rivali asiatici costringendo l’Europa a riadattare il suo Green Deal agli standard stabiliti da Paesi terzi.

In questo scenario diplomatico e geopolitico così complesso, va ricordato che anche l’Italia, forte quest’anno della sua Presidenza del G20, si troverà nelle condizioni di poter giocare un ruolo significativo per la politica estera europea. Le nazioni che compongono il gruppo del G20 rappresentano il 60% della popolazione complessiva del pianeta, l’80% del PIL globale, ed il 75% di tutti i rapporti di scambio commerciale su scala mondiale. L’Italia, dunque, presiedendo il G20, avrà la concreta possibilità di avanzare delle azioni diplomatiche a supporto delle istanze del Green Deal Europeo, sia nel consesso del G20 sia durante la presidenza congiunta della conferenza Cop 26 di Glasgow.

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