W come Waste to fuel: i rifiuti umidi diventano biocarburanti

Dalla parte organica dei rifiuti domestici, dagli scarti alimentari, questa tecnologia ricava bio-olio. Che può essere utilizzato come combustibile a basso contenuto di zolfo per il trasporto marittimo, o raffinato per ottenere biocarburanti ad alte prestazioni

Immagine distribuita da https://agronotizie.imagelinenetwork.com/ con licenza CCO

È al ‘Waste to fuel’ che è dedicata la lettera ‘W’ della rubrica ABC Zero Carbon, che introduce e racconta i vari temi della sostenibilità, scegliendone uno per ogni lettera dell’alfabeto, e illustrandolo attraverso 4 semplici domande. La tecnologia Waste to Fuel produce biocarburanti utilizzando la parte organica dei rifiuti solidi urbani, il cosiddetto ‘umido’, gli scarti alimentari e di cucina.

Dagli scarti alimentari, attraverso il processo Waste to Fuel si ricava, sul totale della massa trattata, dal 3% al 16% di bio-olio. Che può essere utilizzato direttamente come combustibile a basso contenuto di zolfo per il trasporto marittimo, o raffinato per ottenere biocarburanti ad alte prestazioni.

Da questo processo innovativo, inoltre, si ricava anche gas (principalmente biometano e CO2) e acqua che, una volta depurata, è riutilizzabile all’interno dei cicli produttivi. Oltre ai rifiuti organici, il sistema Waste to fuel può trattare scarti organici dell’industria agroalimentare e della grande distribuzione.

Come funziona questo sistema innovativo che dai rifiuti umidi ricava biocarburanti?

Con la tecnologia Waste to Fuel viene riprodotto in due o tre ore il processo naturale con cui la Terra ha generato gli idrocarburi da organismi antichissimi impiegando centinaia di milioni di anni. Il cuore della tecnologia è la termoliquefazione, un processo termochimico in soluzione acquosa che trasforma la biomassa di partenza in una sorta di ‘petrolio biologico’ o bio-olio.

Qui viene recuperata e concentrata quasi tutta l’energia contenuta nel materiale organico di partenza, mantenendo la preziosa componente di idrogeno e carbonio e separando l’acqua. Ogni passaggio è studiato per ridurre le dispersioni e ottenere un prodotto con un elevato potere calorifico (35 MJ/Kg) e un basso tenore di zolfo.

Con quali vantaggi?

Il primo vantaggio della termoliquefazione rispetto ad altri processi di trattamento dei rifiuti è che non è necessario eliminare l’acqua. In altri processi, infatti, l’acqua viene fatta evaporare riscaldando la biomassa con evidenti costi energetici.

Con il Waste to Fuel, invece, l’acqua viene utilizzata nella reazione stessa sfruttandone le proprietà acide ad alta temperatura. Inoltre, si utilizzano temperature più basse: 250-310 gradi centigradi invece dei 400-500 gradi della pirolisi e degli 800-1.000 gradi della gassificazione.

La termoliquefazione ha una resa energetica molto vantaggiosa che raggiunge l’80%, contro un 50-60% della digestione anaerobica e un 10-30% per gli inceneritori. Ma il vantaggio decisivo del Waste to Fuel è la possibilità di trasformare in bio-olio un rifiuto che ha un costo di smaltimento, rendendolo in una materia prima utile attraverso i principi dell’economia circolare.

Qual è lo scenario in cui si sta sviluppando, e con quali prospettive?

Ogni anno in Italia vengono raccolte circa 30 milioni di tonnellate di rifiuti urbani: di queste, 14 milioni di tonnellate sono correttamente differenziate e, all’interno di queste, circa la metà – 7 milioni di tonnellate – sono la parte organica dei rifiuti solidi urbani, gli scarti alimentari.

Con una maggiore e più corretta differenziazione degli scarti di cucina si potrebbero raggiungere i 10 milioni di tonnellate di rifiuti ‘umidi’ raccolti. Questi, attualmente, vengono utilizzati soprattutto per produrre compost per l’agricoltura e biogas.

Abbinando una buona raccolta differenziata a una diffusione degli impianti Waste to Fuel, potremmo idealmente ricavare ogni anno circa un miliardo di litri di bio-olio, equivalente a circa 6 milioni di barili di greggio all’anno. Sarebbe come scoprire un piccolo giacimento senza, però, dover perforare pozzi e senza, soprattutto, emettere nuova CO2. In questo modo potremmo dare un grande contributo alla sicurezza energetica del Paese e ridurre, al tempo stesso, la quantità di rifiuti e le emissioni di gas serra.

Ci sono già impianti Waste to fuel in Italia?

Il primo esempio al mondo di questo genere è stato progettato, sviluppato e brevettato da Eni, nel suo Centro Ricerche per le energie rinnovabili e l’Ambiente di Novara. Il primo impianto pilota è stato realizzato alla fine del 2018 in Sicilia, nella bioraffineria di Gela. Gestito da Eni Rewind, ha una capacità di trattamento fino a 700 Kg di rifiuti solidi urbani al giorno.

Eni Rewind, ha inoltre avviato una valutazione per l’eventuale sviluppo di progetti Waste to Fuel su scala industriale in linea con le esigenze dei territori.

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