4 domande sugli Accordi di Parigi

Torniamo con la rubrica ABC Zero Carbon, con la lettera P, per parlare degli Accordi di Parigi e del fondamentale contributo verso gli obiettivi di decarbonizzazione

Per la lettera P della nostra rubrica ABC Zero Carbon cerchiamo di definire, attraverso quattro domande in grado di esplicitarne i concetti essenziali e di ipotizzare scenari futuri, uno dei temi più significativi del panorama internazionale e dal ruolo decisivo per il raggiungimento degli obiettivi di Agenda 2030: gli Accordi di Parigi.

Cosa sono gli Accordi di Parigi?

I cambiamenti climatici sono una realtà con la quale tutti i paesi del mondo devono oggi fare i conti, sia per i danni economici derivanti dalle variazioni imprevedibili delle temperature e sia, soprattutto, per l’aumento delle emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera.

Gli Accordi di Parigi, stipulati nel dicembre del 2015 in occasione della conferenza di Parigi sul clima, si muovono proprio in questa direzione: tracciano infatti la strada da seguire e sostengono i paesi aderenti nei loro sforzi per contenere il riscaldamento globale sotto i 2º – con l’obiettivo di limitarne l’aumento a 1,5º – per mitigare i disastrosi effetti dei cambiamenti climatici.

In un momento storico in cui la preoccupazione riguardo questo tema si fa sempre più elevata, a causa del raggiungimento di nuovi massimi record per le concentrazioni di gas serra nel 2020, azioni concrete verso gli obiettivi definiti dagli accordi si fanno sempre più importanti.

Quali impegni definiscono?

I governi dei paesi puntano quindi a raggiungere il livello massimo delle emissioni globali nel minimo tempo possibile per conseguire successivamente rapide riduzioni in modo da equilibrare, nella seconda metà del secolo, emissioni e assorbimenti.

In questa direzione, i governi hanno concordato la realizzazione di riunioni valutative ogni cinque anni, nelle quali tutti i paesi partecipanti sono chiamati ad aggiornare riguardo il proprio contributo nazionale nella mitigazione degli impatti e per valutare i progressi collettivi verso gli obiettivi di lungo termine, secondo il principio della trasparenza.

L’Unione Europea e i paesi maggiormente sviluppati si impegnano quindi per sostenere l’azione a salvaguardia dei cambiamenti climatici, con l’obiettivo in questo processo di non lasciare indietro i paesi in via di sviluppo che avrebbero le maggiori difficoltà, aumentandone la resilienza. A sottoscrizione di questo impegno, i paesi più sviluppati si sono prefissati di fornire entro il 2020 – obiettivo poi esteso fino al 2025 – un finanziamento pari a 100 miliardi di dollari l’anno provenienti da diverse fonti, per supportare le azioni di mitigazione degli impatti sul clima dei paesi in via di sviluppo.

Qual è lo stato di avanzamento a livello internazionale?

Proprio per quanto riguarda la questione relativa ai finanziamenti verso i paesi in via di sviluppo, la situazione sembra essere un po’ diversa da quella prefissata. Infatti, stando ai dati del rapporto “Finanziamento climatico fornito e mobilitato dai paesi sviluppati nel 2013-2018” realizzato dall’OCSE, i finanziamenti risultano essere cresciuti dai 71,2 miliardi di dollari del 2017 ai 78,9 miliardi del 2018, con una crescita dell’11%: nonostante l’incremento, però, la strada verso l’obiettivo dei 100 miliardi annui stabiliti sembra essere ancora abbastanza lunga.

Il tema relativo allo stato d’avanzamento degli Accordi di Parigi è stato inoltre, soprattutto nel recente periodo, ai primi posti d’agenda in relazione al ruolo degli USA ed alla posizione in merito del proprio neopresidente Biden. Dopo l’uscita per volere del suo predecessore, il neopresidente ha provveduto sin dal suo insediamento al reinserimento del paese all’interno degli accordi, definendo la partecipazione alla sfida per il cambiamento climatico come cruciale, anche per il rafforzamento della leadership globale del paese. Un rinnovato impegno in questa direzione da parte degli USA avrebbe un impatto notevole verso il raggiungimento degli obiettivi definiti dagli accordi, se si pensa che soltanto nel 2018, secondo i dati del rapporto annuale Global Carbon Budget 2019, gli USA apparivano tra i primi sei paesi responsabili del 67% delle emissioni di CO2 al mondo, contribuendo con il proprio 15%.

Inoltre, la promessa realizzata a settembre di quest’anno da parte della Cina riguardo il rispetto degli Accordi di Parigi, con l’obiettivo di raggiungere la neutralità carbonica entro il 2060, insieme al recente impegno dichiarato da paesi come Sudafrica, Giappone, Corea del Sud e Canada nel raggiungere le zero emissioni entro il 2050, costituiscono fattori in grado di fare ulteriormente ben sperare per l’avvicinamento agli obiettivi degli accordi. In generale, basandosi sulla considerazione o l’adozione degli obiettivi di zero emissioni da parte di 127 paesi responsabili del 63% delle emissioni, Climate Action Tracker (CAT) ha calcolato che il riscaldamento globale entro il 2100 potrebbe essere contenuto entro i 2,1º.

Qual è il ruolo delle tecnologie digitali per il raggiungimento degli obiettivi previsti?

Le tecnologie digitali, nonostante l’importanza del loro carbon footprint già discussa, hanno senza dubbio un ruolo decisivo per tutti i paesi nell’implementazione di strategie volte agli obiettivi di decarbonizzazione.

I vantaggi della tecnologia in questa direzione sono molti, non riducibili nello spazio di un articolo, e riguardano molteplici settori. Ad esempio, l’applicazione di tecnologie come l’Intelligenza artificiale, l’IoT e i Big Data ha dimostrato di poter contribuire in maniera significativa alla riduzione delle emissioni di CO2 nell’atmosfera andando, tra le altre cose, ad aiutare nella decongestione del traffico stradale, analizzando i tratti più trafficati e fornendo percorsi alternativi; oppure, ancora, nella raccolta e analisi di dati satellitari utili in grado di generare consapevolezza e azioni a sostegno della mitigazione dei cambiamenti climatici.

Allo stesso modo, in un altro recente articolo su Tech Economy 2030 si è parlato delle potenzialità di una tecnologia come il Cloud computing a sostegno della decarbonizzazione, che attraverso i green data center garantisce affidabilità dal punto di vista informatico e soprattutto da quello dell’eco-sostenibilità. E ancora, il Digital Twin, il cosiddetto “gemello digitale”, attraverso le sue simulazioni può fornire un sostegno potenzialmente fondamentale nelle decisioni riguardanti, tra le altre cose, la crescita sostenibile delle città più densamente popolate e caratterizzate dai maggiori consumi energetici.

I paesi del mondo hanno quindi mostrato la propria volontà di agire concretamente per l’abbattimento delle emissioni ed il contrasto ai cambiamenti climatici, ed è in questa direzione che l’applicazione delle tecnologie di Industry 4.0, nella loro combinazione, è in grado di fornire soluzioni utili nell’avvicinamento agli obiettivi predisposti dagli accordi.

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