Trasparenza e fiducia, i capisaldi della tecnologia blockchain, si sposano perfettamente con i valori del cibo. La trasparenza della filiera, insieme al patto di fiducia tra produttore e consumatore, sono al centro della digitalizzazione dell’agricoltura, il settore che rimane più svantaggiato dal punto di vista dell’innovazione. Dall’Osservatorio Smart Agrifood del Politecnico di Milano arrivano però buone notizie: il fatturato dell’agricoltura digitale è in crescita, passato dai 540 milioni di euro del primo semestre del 2020 a 1,3 miliardi di fine 2020, fino a 1,6 miliardi nel 2021 (+23%).
I limiti e gli ostacoli
Quanto all’implementazione della blockchain in agricoltura, come stabilito dall’ultimo studio dell’ Osservatorio Smart Agrifood, l’agroalimentare è il quarto settore per numero di progetti di Blockchain a livello internazionale. Le imprese sperimentano la Blockchain per ragioni di comunicazione e di marketing (nel 54% dei casi), per migliorare l’efficienza della supply chain (47%) e per migliorare la sostenibilità della filiera (26%).
Si tratta di un’architettura complessa, e ci sono alcuni ostacoli che ne impediscono l’applicazione: limiti sia di natura puramente tecnologica, e cioè la difficoltà nell’aggiornamento degli strumenti, sia nello spirito imprenditoriale della filiera: come sottolineato ancora dall’Osservatorio, la maggior parte delle iniziative proviene dalla trasformazione e la distribuzione del cibo, pur essendo in aumento i casi in cui a farsi promotori sono i produttori primari, cioè le aziende agricole.
Il problema della “comunione di intenti” tra i vari attori della supply chain riguarda spesso interessi divergenti quando addirittura non in competizione tra loro (non è detto, infatti, che ciò che è meglio per il consumatore sia la soluzione migliore sul breve periodo anche per il lavoratore agricolo o per l’operaio della trasformazione). Mettere a disposizione di tutta la filiera le informazioni di prodotti agricoli è considerato, in un’ottica competitiva e non cooperativa di mercato, molto rischioso. L’open source, insomma, soprattutto per un settore tradizionale che fa dell’esperienza e del know how storico la sua forza, è ancora un ostacolo insormontabile.
Non accade solo in Italia: da uno studio condotto sugli agricoltori tedeschi, soprattutto piccoli produttori, emergono infatti i motivi che impediscono l’applicazione della tecnologia blockchain: l’accesso a un mercato più grande che aumenterebbe la concorrenza, la condivisione dei dati che ospitati su ledger pubblici sarebbero consultati da tutti, difficoltà a fornire le informazioni necessarie sui propri prodotti perché approssimative o incomplete, e infine l’incompatibilità delle tecnologie blockchain proposte con software proprietari. In generale, il limite più sentito è la gestione della privacy sui dati e le transazioni che andrebbe naturalmente regolamentata in modo stringente. Il vantaggio dell’applicazione della tecnologia blockchain, sentito ancora però come un limite, è la creazione di un protocollo comune di dati tra i vari stakeholder della filiera che favoriscano l’interoperabilità.
Le potenzialità
D’altra parte, rimane solo la tecnologia a far fronte all’emergenza ambientale di cui la terra e la produzione di cibo possono essere insieme causa e conseguenza.
Il percorso Farm to Fork non può fare a meno, infatti, di una filiera trasparente e certificata per tutti gli attori che lavorano sul prodotto, come da indicazioni della Commissione Europea in linea con il Green New Deal. Non solo, ma nell’applicazione della blockchain sopraggiunge un fattore etico: nel venire a contatto con l’intero ciclo di vita del prodotto, tutti gli utenti – ma anche gli enti di controllo – hanno la possibilità di conoscere gli impatti ambientali, sociali ed economici del prodotto all’insegna della sostenibilità.
È quello che accade, tra le altre, con la piattaforma digitale creata da tre aziende venete, Altromercato, gruppo Germinal e Perlage Wines che, con l’aiuto di Vicenza Organic Food e del Polo tecnologico di Verona, hanno costruito la tracciabilità della filiera del prosecco bio e dello zucchero proveniente dal commercio equo e solidale. Alla fine della sperimentazione basterà un QR code applicato sui prodotti per leggervi sopra la storia, la geografia, la vita degli alimenti.
Ma la blockchain non è solo tracciabilità: permette infatti di tutelare in modo più rapido e flessibile gli agricoltori in caso di danni ai terreni e di rendere più agevoli le pratiche di registrazione degli stessi terreni. Inoltre, lì dove la trasparenza significa legalità, può essere un valido aiuto per combattere le agromafie che, secondo i dati Coldiretti, governano un mercato da 24,5 miliardi di euro. Dal momento che la tracciabilità dei nodi della blockchain avviene in tempo reale, questo permette notevoli vantaggi economici e sistemi anti-spreco: i produttori avrebbero pieno controllo su eventuali tentativi di manomissione del prodotto, mentre i rivenditori ne ricostruirebbero facilmente la storia. Inoltre, il monitoraggio continuo e il tracciamento basato sui checkpoint e sui “nodi” immutabili che il prodotto deve percorrere permette anche di evitare gli sprechi, individuando subito con precisione eventuali partite guaste prima che arrivino sugli scaffali, e tramite il connubio con la tecnologia IoT anche una migliore gestione della domanda e dell’offerta.
La blockchain rimane poi un’arma fondamentale per combattere la contraffazione o l’italian sounding, frode ancor più subdola sui mercati stranieri: il falso made in Italy ha raggiunto il valore di 100 miliardi secondo le analisi di Coldiretti con un aumento del 70% nell’ultimo decennio. La blockchain faciliterebbe e renderebbe più rapido il passaggio delle frontiere per chi commercia il cibo su scala internazionale così come l’accesso sicuro ai mercati internazionali.
Il ruolo del consumatore
Dalla ricerca “Atteggiamenti e comportamenti del consumatore del vino e del rapporto con la Gdo” realizzato da Veronafiere in collaborazione con C.R.A.31, scopriamo che il 74% dei consumatori dichiara esplicitamente di essere influenzato nell’acquisto dalla disponibilità di informazioni sui temi della tracciabilità del prodotto. Insomma, a decidere dell’applicazione o meno della blockchain nel settore dell’agroalimentare sarà il consumatore: attento alla sostenibilità, alla storia delle materie prime, curioso delle caratteristiche nutrizionali dei prodotti (aumenta secondo gli studi la ricerca dei prodotti “privi di” un determinato elemento, a volte un allergene), sempre più legato al produttore e disposto anche a un aumento del prezzo in cambio di un rapporto di fiducia aperto e trasparente.
La GDO fa da apripista
Carrefour è la prima grande catena di grande distribuzione ad avvalersi della tecnologia blockchain sui suoi prodotti, con la collaborazione di IBM Food Trust, mentre Conad ha premiato un progetto che si avvale di un avatar per spiegare ai clienti le caratteristiche dei prodotti e raccontare la filiera trasparente. Sono tante le aziende grandi e piccole in Europa ad affidarsi alla blockchain con un sistema che permette, di solito tramite un’app, di vedere la posizione esatta di coltivazione di un prodotto agricolo, la varietà delle specie, la trasformazione, la produzione, l’imballaggio, la distribuzione fino al posizionamento sugli scaffali dei supermercati. Le tecnologie blockchain applicate all’agricoltura consentono di promuovere e di inserire in un circuito di distribuzione più grande anche i piccoli produttori locali, lì dove i mezzi economici permettono un aggiornamento tecnologico. È il caso, tra gli altri, del progetto “from global to local” di Fujitsu.
Un progetto canadese mira invece a rivoluzionare la compliance internazionale sulla sicurezza del cibo tramite blockchain: normative condivise, dati e misurazioni comuni sui prodotti usati come fertilizzanti (ma anche sulle modalità di allevamento) sono favoriti dalle transazioni certificate della blockchain sulla base di standard comuni a più paesi.
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