La trasformazione digitale delle persone in azienda

Dopo aver sintetizzato gli elementi chiave per avviare un progetto di digital transformation nel precedente articolo, oggi approfondiamo il tema delle persone, sia quelle che devono guidare questo tipo di progetto, sia quelle coinvolte nella sua esecuzione.

Nelle aziende di medie-grandi dimensioni si è incominciato ad introdurre la figura del Chief Digital Officer (CDO), talvolta per guidare il progetto ad un livello manageriale, più spesso per occuparsi principalmente di facilitare il processo di digitalizzazione su tutti i reparti, oltre che di coordinare i canali digitali dell’organizzazione. Peraltro il Chief Digital Officer è anche la figura più difficile da trovare in Italia secondo la ricerca effettuata da Osservatori.net (Politecnico di Milano).

Ma come abbiamo già segnalato, la guida ideale di un progetto di digital transformation dovrebbe essere un comitato cross-dipartimentale che tipicamente comprende almeno Marketing, IT e HR, con un coinvolgimento del top management sin dall’inizio. Interessante notare come sono proprio questi dipartimenti quelli che, secondo la ricerca di Osservatori.net, necessitano di nuove professionalità e competenze digitali.

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Nella realtà l’HR sembra essere il dipartimento più indietro riguardo l’adozione del digitale sui temi che lo riguardano, nonostante per diversi osservatori (ad esempio Jane McConnel in un interessante articolo su Pulse) potrebbe addirittura candidarsi a guidare i progetti di digital transformation. Io penso che la ragione principale di questa posizione di secondo piano, risieda nel fatto che l’HR non ha tipicamente obiettivi e KPI ancorati ai ricavi, per cui per stimolare e orientare gli investimenti risulta meno appealing di altri dipartimenti. Eppure è abbastanza acclarato che i processi di cambiamento in ogni azienda non possono che partire dalle persone e dal modo col quale si relazionano tra loro e col mondo esterno. Naturalmente passando per lo sviluppo di nuovi skill a cui si accennava prima.

Qui non entreremo nel merito dello sviluppo delle competenze digitali di base e di più specificatamente operative (la cosiddetta digital literacy o digital fluency per le quali si può far riferimento, ad esempio, al report “The Talent Revolution in Digital Marketing” di The Boston Consulting Group), mentre ci preme condividere un gruppo di soft skill ben sintetizzati da Osservatori.net:

  • Knowledge networking. Identificare, recuperare, organizzare, capitalizzare e condividere le informazioni disponibili in rete e community virtuali
  • Virtual communication. Comunicare efficacemente, coordinare progetti e gestire la propria identità in ambienti digitali
  • Digital awareness. Proteggere i dati aziendali sensibili e comprendere il corretto utilizzo degli strumenti digitali per il rispetto del work-life balance e della salute
  • Creativity. Creare e modificare nuovi contenuti digitali integrando e rielaborando conoscenza pregressa, e produrre contenuti in diversi formati digitali
  • Self empowerment. Comprendere le necessità di conoscenza e di strumenti digitali utili alla risoluzione di problemi, e risolvere problemi complessi attraverso l’utilizzo consapevole di strumenti digitali

Ma come si impostano i programmi di formazione per sviluppare tali competenze? Anche in questo ambito c’è molto da trasformare, partendo dal presupposto che è limitativo continuare a riferirsi al temine “formazione” mentre quello più adatto ci sembra essere “education”. Non si tratta di un vezzo esterofilo, ma di esprimere la novità del modello necessario a realizzare l’arricchimento professionale desiderato. Modello che si realizza attraverso il trasferimento di un mix tra informazioni, conoscenze, esperienze, dati operativi, stimoli, nozioni formalizzate. Elementi peraltro erogati con modalità anch’esse più moderne e che comprendono anche il cosiddetto “training on the job”.

In linea generale si suggerisce di pianificare delle attività “leggere” ma assolutamente continuative in luogo dei tradizionali “corsi di formazione”, svolte in modalità mista (aula + sessioni online), in modo da:

  • Erogare «pillole» di contenuto formativo applicabile immediatamente
  • Trattare temi sempre attuali ed aggiornati
  • Abituare all’uso delle piattaforme digitali, non solo per fruire dei contenuti ma per condividere con gli altri colleghi le proprie opinioni e necessità.

Altro elemento molto dibattuto nelle dinamiche di digital education è quello dell’auto-formazione. Se da una parte è prassi individuale ormai consolidata quella di utilizzare gli strumenti tecnologici senza nessuna particolare forma di addestramento, a livello aziendale si dovrebbe superare l’orientamento tutto concentrato sul “saper usare gli strumenti”, passando invece ad un approccio che aiuta a contestualizzare gli strumenti in funzione di obiettivi generali e motivazioni individuali. Il classico esempio è quello delle piattaforme di collaborazione e le intranet, troppo spesso introdotte e spiegate in base alle funzionalità operative e non attraverso piani di adozione che motivino le persone e che stimolino l’attitudine alla condivisione e alla collaborazione professionale.

Chiudiamo questa parte segnalando un’indagine svolta da Smart Insight su 1.000 marketers inglesi la quale, confermando alcune delle indicazioni qui esposte, mostra come il 75% degli intervistati ritiene  fondamentare la presenza di una cultura aziendale che incoraggi la condivisione ed il miglioramento continuo delle competenze personali.

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Con oltre 30 anni di esperienza nell'ambito dell'ICT, è ritenuto uno dei maggiori esperti di comunicazione online in Italia avendo ideato e coordinato progetti di marketing digitale per molte aziende e corporation di ogni dimensione e settore. Precursore su diversi fronti in ambito "digital", è stato tra i primi a sviluppare progetti di search marketing (1996), performance advertising (2000), business blogging (2003), enterprise content (2004), analisi discussioni online (2005), social media marketing (2006), social CRM (2010). È partner e responsabile strategico di DigitalBreak, società specializzata in progetti di Digital Transformation con sedi a Milano e Roma. Ha guidato la web agency Ad Maiora dal 1997 al 2009 e successivamente l'area Digital di Ammiro Partners e la business unit dedicata al Customer engagement di OpenKnowledge. In precedenza si è occupato di comunicazione, informatica e telecomunicazioni. Tra i suoi progetti ricordiamo l'ideazione di MotoriDiRicerca.it, per molti anni il sito di riferimento in Italia. È Professore a progetto in Digital Marketing allo IULM di Milano ed è relatore a decine di convegni e seminari ogni anno. È stato eletto Strategic Planner 2011 nell’ambito del Premio Web Italia 2011. Ha scritto "Motori di ricerca e visibilità sul web" (Apogeo, 2001) ed è co-autore di “Social Media Marketing” (Hoepli, 2011). È stato membro dei board di IAB Italia, SEMPO.org e BAIA Italia.

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