Smart City: come organizzare una città smart e intelligente

Le Smart city e il loro sviluppo trovano terreno fertile nella capacità di governance della complessità, che sia essa istituzionale, progettuale, comunicativa, economica, organizzativa. Una Smart city, infatti, non può esistere senza un modello di dialogo fra i vari soggetti che erogano servizi pubblici, di messa in condivisione dei propri asset, e dei rispettivi canali di comunicazione alla città. Deve essere capace di innalzare la qualità della vita dei cittadini con l’utilizzo di soluzioni tecnologiche integrate da una solida cultura organizzativa, dei diritti dell’individuo, della cura degli spazi comuni (anche quelli digitali) e del rispetto degli spazi pubblici (intesi come cosa pubblica da tutelare).

Coinvolgimento del territorio, dunque, ascolto e gestione delle esigenze degli stakeholder, motivazione e sinergie con altri attori nel territorio (utility, trasporti per esempio), pianificazione degli interventi, includendo analisi degli impatti (privacy, usabilità), strategie di comunicazione in grado di affiancare il programma sul medio-lungo termine e con strumenti adeguati, misurazione degli interventi secondo criteri oggettivi, rendiconto al territorio dei risultati e dei benefici, sembrano solo alcuni dei principali elementi su cui lavorare se non si vuole trascurare una fondamentale dimensione dello sviluppo di una Smart city: la dimensione organizzativa.

Con Leda Guidi, Professoressa a contratto in Teoria e tecniche della Comunicazione pubblica e Cofounder della Rete Civica Iperbole, nell’ambito della ricerca Smart City: quali impatti sulle città del futuro?, condotta dal Digital Transformation Institute, in collaborazione con CISCO, si è lavorato a lungo sugli elementi che compongono la dimensione organizzativa di un progetto di Smart city.

Parliamo di leadership, visione, strategie, network degli attori territoriali, partecipazione dei cittadini, che sono basilari, cosi come essenziale è la motivazione dei portatori di interesse e la chiarezza del punto di arrivo. Le competenze necessarie al progetto, a tutti i livelli, vanno coordinate e integrate in modo da allinearle a idee, bisogni e priorità della città.

Il modello di governance di progetto una Smart city dovrebbe, dunque, assicurare continuità ideativa-elaborativa e operativa/realizzativa/gestionale, rappresentanza e collaborazione interistituzionale, anche per assicurare visibilità e favorire/rendere desiderabile l’adesione ed il sostegno di ciascuna istituzione co-protagonista.

Per ottenere, infatti, una buona organizzazione che porti ad progetto di Smart City efficace è necessario, lavorare sulla trasversalità delle politiche, che, utilizzando le tecnologie, si proponga di sviluppare significativamente la città e le sue dinamiche di sviluppo, di includere le fasce marginalizzate e di migliorare tangibilmente i servizi accessibili. Quanto all’organizzazione interna, invece, deve mettere in campo un modello di governance aperto, dialogante, di relazione con cittadini, mondo associativo, imprese e università; deve prevedere la costruzione di teamwork e steering committee multidisciplinari (il progetto non come una “iniziativa dei tecnici”) in grado di realizzare sinergie tra le policy sui temi “verticali”.  Inoltre, sono indispensabili una forte sponsorship politica, una cultura orientata all’innovazione e alla sperimentazione di soluzioni inedite per i processi produttivi, nonché un approccio centrato sulla creazione di valore dalla relazione pubblico/privato e dalla metodologia dell’open innovation.

Per la buona riuscita delle iniziative di Smart City, inoltre, non devono prevalere i campanilismi, la frammentazione, la divergenza degli interessi, ma vanno resi attivi gli uffici verticali e analizzati i processi da parte di esperti per non “digitalizzare la burocrazia”. Punti vista solo tecnici o solo amministrativi limitano ab initio l’efficacia del progetto, per questo vanno sviluppate competenze (interne/esterne) che permettano di acquisire i “saperi esperti” necessari, strada tutta in salita per le ristrettezze finanziarie delle amministrazioni locali, dato che le risorse per ricerca e formazione sono le prime a venire sacrificate. Il rischio di scarse competenze sia trasversali che specifiche è – tra gli altri – quello di farsi dominare dall’offerta tecnologica. Capacità tecnico-operative e competenze multisettoriali sono raramente presenti nelle P.A. e l’individuazione dei profili professionali coerenti con le politiche da attuare risente delle difficoltà di reclutamento e anche delle rigidità dei sistemi in essere.

Anche la rigidità degli strumenti di gestione e di attuazione delle policy – che dipende in certa misura dalla legislazione nazionale e dallo scarto fra l’innovazione rappresentata dalle sperimentazioni territoriali e le logiche di produzione nazionale, anche normativa –  gioca in termini negativi sui processi di innovazione. La tendenza alla iper-regolamentazione legislativa rende difficile perseguire gli obiettivi, anche in presenza delle risorse per i progetti di SC.

Difficile è poi raccogliere in modo sistematico e coerente le esigenze degli stakeholder e attivare sinergie con altri attori del territorio, nonché rendicontare i risultati che possono essere anche immateriali, sociali, intangibili.  Nel consultare i cittadini spesso non si ottengono le risposte di cui si necessita (o che ci aspetta) ed è un complesso estrarre/interpretare in modo proficuo i risultati della partecipazione.

Per la governance, la parte di co-creazione con gli attori interni ed esterni dipende anche dalla reale (e non “retorica”) volontà politica di cambiare il modo di concepire le politiche pubbliche locali. A questo si collega il tema della cultura organizzativa infra e inter-istituzionale, complicato da affrontare perché ha tempi lunghi ed è varabile dipendente dalla qualità della classe politica e dell’apparato tecnico. Fare rete tra PA presuppone, infatti, una logica cooperativa di condivisione di obiettivi e strategie nella scala vasta, ma prefigura un complesso percorso di governance a livello istituzionale. Le strategie di gestione degli stakeholder scontano un posizionamento negativo della Pubblica Amministrazione e una logica di difesa/rappresentanza corporativa degli interessi vs visioni, obiettivi e progetti comuni da condividere in termini di responsabilità.

Una città davvero Smart, dunque, si organizza attraverso un’amministrazione condivisa, che appartiene a tutti e che da tutti può essere migliorata attraverso la cittadinanza attiva, opera nell’interesse dei cittadini, riducendo i costi dei servizi e rendendoli più efficaci, agisce secondo un processo di pianificazione strategica integrata, basato sull’organizzazione di città come bene comune, come luogo della responsabilità condivisa tra soggetti che a vario titolo progettano interventi e ne sono anche direttamente protagonisti, e su un nuovo modello di amministrazione diffusa, in grado di produrre nuove forme di rappresentanza degli interessi e nuovi modelli di policy making per la produzione di valore economico e sociale.

Una città davvero Smart non è intelligente perché ha infrastrutture digitali, ma è intelligente perché è capace e sa dove utilizzarle.

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