Italiani e Sostenibilità Digitale: cosa ne sanno, cosa ne pensano. I primi risultati della ricerca della Fondazione Digital Transformation Institute

Nel webinar del 20 maggio, la presentazione della prima parte dei dati della ricerca "Italiani e Sostenibilità Digitale: cosa ne sanno, cosa ne pensano" realizzata dal Digital Transformation Institute, Fondazione di Ricerca per la Sostenibilità Digitale

Grazie a Next Generation EU l’Italia potrà investire nei prossimi anni 191 miliardi di euro nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, il PNRR. Piano che è basato essenzialmente su due assi: quello della digitalizzazione e quello della sostenibilità (ambientale e sociale). Ma qual è il livello di consapevolezza degli italiani su questi temi, e qual è il loro punto di vista sul ruolo della digitalizzazione come strumento di sviluppo sostenibile?

A queste domande vuole fornire una risposta la ricerca “Italiani e Sostenibilità Digitale: cosa ne sanno, cosa ne pensano”, realizzata dal Digital Transformation Institute – Fondazione di ricerca per la Sostenibilità Digitale in collaborazione con IPSOS, partner della Fondazione, e presentata ieri nel corso di un webinar moderato dalla giornalista Barbara Carfagna, giornalista RAI esperta di tecnologie digitali ed autrice della trasmissione Codice.

I dati emersi dalla ricerca presentata ieri, afferma Stefano Epifani, Presidente della Fondazione, dipingono “un quadro estremamente complesso e variegato, che fornisce alcune indicazioni fondamentali dalle quali partire per iniziare a disegnare quella nuova normalità che serve per rilanciare il nostro Paese”.

Il convegno, prima fase di un percorso che ci accompagnerà per i prossimi mesi con l’analisi dei dati riferiti ai tre approfondimenti verticali dedicati ai temi dello smart living (24 Giugno), dello smart environment (29 Luglio) e della smart mobility (30 Settembre), è stato quindi l’occasione per presentare le attività del Digital Transformation Institute alla sua prima uscita “ufficiale” nella sua nuova veste di Fondazione di Ricerca e per divulgare i primi dati emersi.

Ma non solo: è stata infatti anche l’occasione per la firma del Manifesto per la Sostenibilità Digitale da parte di Mauro Minenna nel suo ruolo di Capo Dipartimento del Dipartimento per la Trasformazione Digitale. Un passaggio che prelude allo sviluppo di attività congiunte finalizzate a supportare la promozione di cultura e consapevolezza sui temi della sostenibilità digitale, la comprensione dei quali è imprescindibile da parte di cittadini, istituzioni ed aziende per cogliere l’opportunità del PNRR.

La sostenibilità: quale percezione?

Qual è il livello di percezione degli italiani riguardo la sostenibilità? I dati presentati lasciano apparentemente pochi dubbi: infatti l’80% del campione ha dichiarato di avere una conoscenza abbastanza o molto precisa del concetto di sostenibilità.

Tuttavia, approfondendo il dato, emerge come la maggior parte delle persone faccia fatica a rendersi conto davvero – al di là degli slogan – di cosa voglia dire “sostenibilità” e quali siano gli impatti sulla vita quotidiana. “In qualche modo – sostiene Stefano Epifani –  si ha una visione prevalentemente ideologica, o meglio ideologizzata, del tema, in larga parte priva della reale consapevolezza di cosa comportino in termini concreti quei principi di sostenibilità che si dichiara di sostenere e che, senza un sufficiente livello di consapevolezza, rimangono delle petizioni di principio del tutto scorrelate dal fatto che esse generino qualsivoglia impatto sui comportamenti”. Indagando sulle priorità percepite, ad esempio, è emerso come per il 46% degli intervistati siano prioritarie le scelte ambientali, per il 38% quelle orientate al benessere e alla qualità della vita, e per un residuo 16% siano invece prioritarie le scelte economiche. Tuttavia, allo stesso tempo, solo il 37% degli intervistati è in grado di correlare la visione di sostenibilità che ritiene prioritaria con scelte economiche e sociali che dovrebbero essere coerenti con essa.

L’idea che mi sono fatto leggendo questi dati – commenta Alberto Marinelli, Direttore del Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale alla Sapienza, Università di Roma è che, nonostante ci sia un po’ di confusione, dopo un periodo di grande difficoltà e di crisi che nella percezione delle persone hanno portato ad una chiusura degli orizzonti temporali, e quindi all’incapacità di guardare ad un futuro migliore, l’attuale impegno sul tema della sostenibilità non sia da considerare soltanto una moda strumentale. Al contrario, credo che si stia aprendo uno spiraglio. La percentuale di persone che, in qualche modo, attribuisce valore sulla sostenibilità, ci da un segnale preciso: c’è davvero la possibilità di provare una strategia, forse più matura e consapevole, di recupero e di apertura verso il futuro.

Per innescare un processo di questo tipo, però, è necessario far incontrare questa istintiva disponibilità verso la sostenibilità con l’acquisizione di una visione complessa. Il questionario della nostra Fondazione ha chiesto proprio questo ai cittadini intervistati: di ragionare sulla complessità, che è la base indispensabile per aprire un futuro in termini di sostenibilità. Dobbiamo abituarci tutti, come cittadini, decisori politici, soggetti protagonisti dell’informazione, a ragionare con la complessità, a non evitarla, acquisendo così forme in cui il pensiero complesso riesce ad illuminare opportunità”.

Digitale, sostenibilità e sostenibilità digitale

Per il 92% degli intervistati il digitale rappresenta una fonte di opportunità. Tuttavia, approfondendo le opinioni degli intervistati, emerge che ben il 65% di essi sostiene anche che esso è fonte di diseguaglianza, perdita di posti di lavoro ed ingiustizia sociale. “È significativo, in tal senso sottolinea Epifanicome la paura nei confronti della tecnologia aumenti proporzionalmente al diminuire della competenza: in altri termini meno si conoscono le tecnologie più le si temono. Questo ci deve insegnare molto sul ruolo centrale delle azioni delle Istituzioni rivolte ad aumentare il livello di consapevolezza e di competenza digitali degli italiani di ogni età”.

Un punto cardine, questo, anche dell’intervento di Tiziana Catarci, Direttrice del DIAG alla Sapienza, Università di Roma. “L’obiettivo della sostenibilità digitale è la convergenza tra la sostenibilità e il digitale per sfruttare le grandi potenzialità delle tecnologie nell’ottica di creare un valore che potremmo definire socioecologico, che sia anche parte di una nuova proposta economica per un futuro più equo, inclusivo, solidale e sostenibile. Per raggiungere questo obiettivo però bisogna essere consapevoli dei rischi che ci sono, e per questo bisogna diffondere la competenza e la conoscenza sul digitale, per tutta la popolazione. Basti pensare all’Intelligenza artificiale, che è uno strumento molto potente, ma che presenta anche molti rischi, dalla possibile amplificazione di pregiudizi e disuguaglianze fino al grande consumo energetico. Aspetti, questi, che non vanno ignorati, ma vanno gestiti per evitare la generazione di problemi e sfruttarne, invece, le potenzialità”.

È anche per il basso livello di competenze, quindi, che la strada per la sostenibilità digitale sembra essere ancora in salita. Infatti, nonostante per tre quarti degli italiani sia chiara l’urgenza di affrontare problemi come il cambiamento climatico (74%) e l’inquinamento (76%), la maggior parte di essi, pur dischiarandosi consapevole delle opportunità delle tecnologie digitali per affrontare questi problemi, nel quotidiano non fa quanto potrebbe per utilizzarle come strumento di sostenibilità. Prendiamo ad esempio le applicazioni a supporto della riduzione dei consumi: gli italiani che hanno dichiarato di utilizzarle regolarmente sono il 10%, a fronte di un 13% che le usa invece raramente, e di un 27% che dichiara di non conoscerne l’esistenza. Su quest’ultimo dato, per Marisandra Lizzi, CEO di Mirandola Comunicazione, si deve però intervenire, ed un grande ruolo ha in tal senso il mondo dei media. “Dobbiamo semplificare i messaggi, ma senza banalizzarli.  Se infatti, come risulta dai dati, le app disponibili per intervenire sulla sostenibilità a livello individuale non sono sufficientemente conosciute, il problema è proprio sulla semplificazione o sull’iperannuncio, e cioè il modo con il quale vengono comunicate”. Il dato più significativo, in questo senso, è infatti rappresentato dal 49% di persone che, pur dichiarando di conoscerne l’esistenza, comunque non le adotta. “Viviamo in un contesto – sottolinea Epifani – nel quale la necessità di annunciare sempre e comunque cose nuove, e ciò è particolarmente vero quando si parla di tecnologia, fa si che tali novità non abbiano tempo di sedimentare ed impattare realmente sui comportamenti. E quindi spesso, sappiamo che qualcosa esiste, ma non vi dedichiamo quell’attenzione necessaria ad incidere davvero sui comportamenti, se non in tempi molto lunghi”.

Ma non solo. Se da una parte le persone non usano il digitale come strumento di sostenibilità, dall’altra non si rendono neanche conto di quale sia il suo reale impatto sull’ambiente. Il 51% degli intervistati ritiene che l’impatto energetico del digitale sia abbastanza forte, e molto forte per l’8%, ma sono solo il 14% coloro i quali non ne sottodimensionano l’impatto effettivo.

Quando la tecnologia abilita la fiducia, e la sostenibilità

La fiducia nei confronti della tecnologia è sicuramente uno degli aspetti più importanti relativi al suo utilizzo e, come evidenziato dai dati della ricerca, condiziona anche la percezione dei cittadini relativamente ad essa. Tuttavia, esistono alcune tecnologie che consentono – o dovrebbero consentire – la costruzione di ecosistemi basati proprio sulla fiducia, e che possono abilitare, poi, modelli di comportamento virtuosi e sostenibili.

Questo il punto centrale del primo intervento, nella tavola rotonda moderata da Luciano Guglielmi, coordinatore del comitato d’indirizzo della Fondazione, di Renato Grottola, Global Director Growth and Innovation di DNV. “La fiducia è il carburante, la precondizione di qualsiasi transazione. Per inserire un elemento fondamentale come quello della fiducia, la tecnologia può essere uno strumento fortemente abilitante, anche in un’ottica di sostenibilità. Immaginiamo – pensando ad esempio ad un processo di gestione del recupero delle materie prime – di volere incentivare il comportamento di una persona nel restituire materia verso un sistema che ne consenta il riuso. Per farlo bisogna connettere due attori, il consumatore e il produttore, che non si sono mai visti, sono lontani tra loro e quindi non si fidano. Tecnologia come la blockchain, in questo contesto, possono essere degli abilitatori fondamentali. Non soltanto creano la connessione tra le parti, ma lo fanno con un processo incardinato nella tecnologia che consente agli attori coinvolti di avere la fiducia necessaria nei confronti del processo per la gestione della transazione. Questa transazione, seppur di basso valore per unità di materia, ha un valore importantissimo in un’ottica di sistema. Permette infatti di abilitare il contributo del singolo, tramite la tecnologia, in funzione di obiettivi che oggi sono prevalentemente di dominio delle aziende”.

Ed il tema della fiducia nei confronti della tecnologia si connette fortemente a quello della sicurezza digitale, soprattutto in un contesto in cui gran parte della vita delle aziende, così come dei cittadini, diventano prevalentemente dati. Per questo Enrico Mercadante, Director Architecture Sales and Innovation, di Cisco per il Sud Europa, nel corso del suo intervento ha sottolineato la “necessità di una cultura della sicurezza dei dati, che in Italia può migliorare ancora molto. Quello del trust verso gli strumenti e i device che utilizziamo, poi, è un tema molto importante e che lo diventerà sempre di più: ad oggi c’è un trust implicito, ci fidiamo di ciò che inseriamo, ad esempio, nei nostri smartphone, confidenti del fatto che i nostri dati siano al sicuro. Penso che nel tempo si andrà sempre più verso un trust esplicito. In altri termini in un’ottica di sostenibilità sociale gli utenti dovranno poter richiedere dove sono i loro dati, per quanto vengono conservati, chi li conserva e via dicendo. Tutte cose che sono già teoricamente nello spettro dei diritti dei cittadini, ma che diventeranno sempre più centrali nel rapporto con chi, tali dati, li gestisce”.

La firma del Manifesto per la Sostenibilità Digitale

Oltre che alla presentazione dei dati di ricerca il webinar ha visto anche l’intervento di Mauro Minenna, da poche settimane alla guida del Dipartimento per la Trasformazione Digitale. “La sostenibilità migliora nel momento in cui le persone sono dotate di conoscenza, di strumenti e di motivazione. Se si riesce a trasmettere alle persone il concetto del senso di ciò che stanno facendo, si sta lavorando in questa direzione. La sostenibilità digitale abilita questa dimensione, perché consente di moltiplicare le opportunità di condivisione della conoscenza incorporando al suo interno l’elemento di senso, ossia la motivazione per la quale si sta chiedendo di fare qualcosa. In tal modo possiamo costruire una società migliore nel rispetto dell’ambiente. Per contribuire allo sviluppo di un futuro sostenibile le Istituzioni devono impegnarsi soprattutto nello sviluppare consapevolezza, competenze e strumenti per le persone e per la società.

Come evidenzia il decimo punto del Manifesto per la Sostenibilità Digitale, la storia dimostra che la tecnologia ha migliorato le condizioni di vita delle persone, e questo ci porta a immaginare che possiamo orientare la trasformazione perché sia sostenibile. L’impegno che mi sento di prendere a nome del Governo è contribuire a che questo accada. Per questo, con firma digitale ho apposto questa mattina la mia firma in calce al manifesto.

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