Il pianeta è ciò che mangiamo. Economia circolare e Fame Zero

Lo scorso anno hanno affrontato la fame tra le 720 e le 811 milioni di persone nel mondo, ma un terzo della quantità annua di cibo continua ad essere sprecata contribuendo, peraltro, alle emissioni di gas serra. Per raggiungere l'SDG2 serve un approccio circolare, nel quale le tecnologie possono dare un grande contributo

Immagine distribuita da PxHere con licenza CC0

Al mondo esiste un continente immaginario, il terzo dopo Stati Uniti e Cina per emissioni di CO2, ed è lo spreco di cibo globale: da esso derivano, infatti, l’8% delle emissioni totali di gas serra.

Secondo gli ultimi dati FAO, lo spreco di cibo avviene principalmente all’inizio e alla fine della filiera alimentare. Questo delinea bene le responsabilità di chi produce e di chi consuma in un fenomeno che ha risonanze tragiche sul problema della fame nel mondo, sebbene una determinata quantità di perdite si verifichi in tutte le fasi della catena del valore, quindi dalla produzione agricola alla trasformazione e allo stoccaggio fino al consumo. Nei paesi a più basso reddito lo spreco si verifica di più durante la produzione a causa di limiti tecnici e tecnologici nella raccolta, nella conservazione e nell’imballaggio, mentre nei paesi a più alto reddito la perdita va ricondotta ai consumatori.

Lo scorso anno hanno affrontato la fame tra le 720 e le 811 milioni di persone nel mondo. La possibilità di una dieta sana, oggi, viene negata a 2,37 miliardi di persone

Dal rapporto delle Nazioni Unite sappiamo che lo scorso anno hanno affrontato la fame tra le 720 e le 811 milioni di persone nel mondo, 161 milioni di persone in più rispetto al 2019. La possibilità di una dieta sana, oggi, viene negata a 2,37 miliardi di persone.

Se un terzo della quantità annua di cibo viene gettata via prima di arrivare sulle nostre tavole, vuol dire che non avrebbe senso intensificarne la produzione, ma migliorarla e agire sullo spreco monitorando in maniera costante le relazioni tra lo spreco di cibo e la sua impronta energetica ed ambientale, in un approccio olistico che deve tener conto di tantissimi fattori naturali, antropici, governativi.

Sistemi efficienti, resilienti, inclusivi

Sono ciò che auspica l’agenda per la sostenibilità. Con la gestione circolare del terreno sarebbe già possibile ripristinare il 40% del suolo coltivabile: le rotazioni delle colture, infatti, oltre a rispettare la biodiversità permettono di ridurre la necessità di fertilizzanti e favoriscono l’assorbimento del carbonio (State of Food Security and Nutrition in the World 2021).

Per limitare invece gli sprechi nell’ultima parte della supply chain sono necessarie azioni di corresponsabilità, reciprocità, solidarietà e sicurezza tra tutti gli attori della filiera che consentano uno smaltimento corretto dei rifiuti e la valorizzazione di un rifiuto indifferenziato in un rifiuto che può essere processato e quindi reimmesso nel sistema come input. Su questa cifra uno dei progetti anti-spreco di ENEA, che prevede la possibilità di riutilizzo del materiale organico in agricoltura monitorandone le caratteristiche chimiche tramite piccoli circuiti elettromeccanici e permettendone il riciclo e il reimpiego in prossimità del luogo in cui sono stati prodotti, evitando così trasporti e stoccaggi. Altro esempio interessante – del quale abbiamo già parlato qui su Zero Carbon – è invece quello di Waste to Fuel, sistema realizzato da Eni che consente la trasformazione dei rifiuti organici urbani in biocarburanti.

È nelle città che si gioca la grande sfida dell’economia circolare, dove cioè si prevede che verrà consumato l’80% del cibo entro il 2050

Secondo la Ellen MacArthur Foundation, è nelle città che si gioca la grande sfida dell’economia circolare, dove cioè si prevede che verrà consumato l’80% del cibo entro il 2050: è qui che i consumatori possono scegliere i prodotti dei coltivatori locali e premiare le scelte di agricoltura rigenerativa, pascolo a rotazione, agroecologia. Consumare cibo prodotto nelle aree periurbane –  in un raggio di 20 km dalla città – consente di accorciare la catena di approvvigionamento e ridurre gli imballaggi e naturalmente i costi del cibo. La ricetta per gli sprechi nell’ultima fase, dallo scaffale alla tavola è invece una bioeconomia che abbassi i prezzi del cibo in prossimità della scadenza e che rimetta in circolo gli alimenti non più commestibili sotto forma di fertilizzanti organici e bioenergia.

L’approccio rigenerativo

Ad oggi solo il 2% del valore nutritivo del nostro cibo viene riciclato. Eppure sono tante le potenzialità del riciclo di nutrienti e del circuito chiuso che contribuiscono all’obiettivo di sviluppo sostenibile numero 2, quello che si propone di porre fine alla fame, ridurre la malnutrizione e migliorare la nutrizione su scala globale. L’uso della biomassa, risorsa rinnovabile in grado di catturare anche CO2 dall’aria, offre una vasta gamma di applicazioni: può costituire mangime per animali, sostituire i materiali, diventare energia carburante per i trasporti da risorsa di scarto, quale è, prodotta dalle colture agricole e acquatiche.

Ad oggi solo il 2% del valore nutritivo del nostro cibo viene riciclato

In Olanda, ad esempio, l’agricoltura alimentata dalla biomassa fa parte di un piano strategico di economia circolare che privilegia in tutte le fasi della filiera il riutilizzo di materiale biologico alla sua massima qualità e che si propone di garantirne sempre la disponibilità per diversi scopi tra cui l’arricchimento del suolo, il mantenimento del ciclo di nutrienti e l’aumento della resilienza dei terreni.
Il biochar usato in agricoltura è in grado di diminuire effettivamente l’uso di fertilizzanti (aumentati di 9 volte sin dagli anni ‘60) per la sua capacità di nutrire i terreni: si tratta di materiale organico, proveniente da decomposizione termica che può essere di natura animale (derivante dalle ossa degli animali) o vegetale e trattenere con sé carbonio, calcio, fosforo e sostanze nutrienti per il suolo per secoli o millenni, contro la degradazione del materiale organico non trattato che si limita ad anni o decenni.

Ricostruire i circuiti dei nutrienti in modo da ottimizzare i terreni degradati dovrebbe essere la priorità di tutte le aziende agricole per ridurre a monte gli scarti. Secondo i piani di Ellen Mc Arthur Foundation, l’economia circolare con lo scopo di garantire cibo sano per tutti può ridurre dell’80% le 16 milioni di tonnellate di fertilizzanti sintetici, mentre chiudere il ciclo dei nutrienti può ridurre del 60% le emissioni di CO2 del settore agricolo.

La tecnologia, la solidarietà

La tecnologia circolare può venire incontro al secondo obiettivo di sostenibilità in tutte le fasi della supply chain: dal monitoraggio dei terreni tramite sensori ai sistemi blockchain per favorire la riduzione dei tempi e dei costi legati ai processi di raccolta, gestione e trasmissione dei dati, dal trattamento chimico di stabilizzazione dei prodotti che possa aumentarne la vita sugli scaffali fino agli scarti dell’industria alimentare che diventano packaging per lo stesso settore.
La prima innovazione necessaria per ridurre gli sprechi è infatti la misurazione: database aggiornati, affidabili e sempre disponibili consentono la condivisione di informazioni da parte di tutti gli operatori della catena del valore.

La prima innovazione necessaria per ridurre gli sprechi è la misurazione: database aggiornati, affidabili e sempre disponibili consentono la condivisione di informazioni da parte di tutti gli operatori della catena del valore

L’approccio tecnologico deve cominciare dalla produzione industriale e dal commercio, responsabili rispettivamente del 26% e del 13% degli sprechi. A giocare un ruolo decisivo la tracciabilità, possibile grazie alla tecnologia blockchain e ai tag RFID, dei codici a barre dotati di sensori applicabili sui lotti alimentari in grado di contenere moltissime informazioni non solo sul percorso del prodotto e sulla provenienza, ma sui livelli di scorte e sulle scadenze, sulle modalità di conservazione, sulle trasformazioni che ha subito in termini di temperatura. In questo modo si può agire con rapidità per evitare che il cibo prossimo alla scadenza vada sprecato modellandone il prezzo se destinato al consumo, coordinando le azioni solidali, o dirottandolo verso l’allevamento. In generale l’analisi prescrittiva tramite IoT applicata a tutta la catena alimentare può allertare produttori e distributori sulla sovrapproduzione di determinati alimenti, su eventuali malfunzionamenti o errori nella conservazione intervenendo in modo tempestivo per correggerli. L’industria 4.0 si serve dei MOM (Manufacturing Operations Management), infrastrutture digitali per il monitoraggio, la manutenzione e il controllo qualità della catena produttiva: con analisi in tempo reale consente decisioni istantanee e pianificazioni a breve termine. Grazie a questi sistemi è possibile integrare le informazioni provenienti da fornitori diversi, soprattutto per i prodotti che richiedono molta lavorazione e che sono assemblati in diversi luoghi e diverse fasi. Le etichette intelligenti oltre ai vantaggi per i produttori e alla riduzione dello spreco, proteggono anche la sicurezza degli alimenti, una delle priorità cardine del secondo obiettivo di sostenibilità, difendendone la provenienza e contrastando così la contraffazione.

È in coda alla supply chain e cioè sulle nostre tavole, che avviene il 61% dello spreco di cibo. Anche in questa fase viene incontro il digitale che ha come scopo la comunicazione, la fiducia e l’intento solidale tra produttori e consumatori: entrano in gioco le app e le community, ormai diffuse in tutto il mondo, che connettono grande distribuzione, negozi e consumatori per dare una tavola agli ultimi prodotti della giornata: l’app Too Good To Go, della quale abbiamo già avuto modo di parlare qui su Tech Economy 2030, è in questo senso un esempio virtuoso.

Sono tantissime le iniziative che contrastano lo spreco con un approccio solidale, una fra tutte in Italia il Banco Alimentare che ridistribuisce il cibo eccedente nei supermercati ai più bisognosi.

La maggior parte di esse coinvolge in tutto il mondo la grande distribuzione che ha, dopo l’agricoltura, la più grande responsabilità sul tema dello spreco di cibo. Le app, le piattaforme, il gioco di squadra tra i diversi attori della catena, la comunicazione all’interno di reti sia solidali e del terzo settore che commerciali ma con scopi sostenibili permettono di recuperare ogni anno milioni di pasti.
In diversi paesi d’Europa il riutilizzo dei sottoprodotti, poi, è protagonista di molte iniziative locali, dal riuso del cibo non vendibile per la produzione di piatti e bicchieri in materiale organico, fino alla vendita dei prodotti prossimi alla scadenza su mercati sociali che aderiscono all’iniziativa, passando per il riutilizzo della frutta che non rispetta gli standard estetici della grande distribuzione sotto forma succhi o marmellate per finire al più comune compostaggio degli scarti.

A sostenere tali iniziative, diverse linee guida dell’UE sulla sicurezza del cibo, e sulla misurazione dello spreco, che può vantare un osservatorio apposito, EU Platform on Food Losses and Food Waste.

Una responsabilità globale

Se l’impegno per la sostenibilità, visti gli investimenti necessari, può essere considerato come un compito da “primo mondo”, nelle pratiche circolari i paesi in via di sviluppo fanno la loro parte. Costruendo reti alimentari, e avvalendosi di società private per la distribuzione, con il contributo dei governi, hanno assicurato nell’ultimo anno una capillare distribuzione del cibo durante la pandemia, ma sono all’avanguardia anche sulle tecniche di rigenerazione dei suoli basate sui sottoprodotti all’insegna dell’agroecologia, un’agricoltura che mette insieme sostenibilità e innovazione con lo scopo di tutelare la terra prima che il profitto.

Tutte le iniziative legate alla circolarità del cibo hanno in comune un approccio attento alla comunità e non sarebbero possibili senza l’intento collettivo di tutta la filiera, dai produttori ai venditori fino alle istituzioni con incentivi e normative sulla sicurezza che indirizzino il riciclo del cibo e un’attenzione particolare all’impronta carbonica.

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