Smart Mobility: qual è il ruolo del digitale per una mobilità più sostenibile?

Nel webinar moderato da Andrea Bertaglio e Luciano Guglielmi, presentati in anteprima i dati della ricerca "Italiani e Sostenibilità Digitale: cosa ne sanno, cosa ne pensano", realizzata dalla Fondazione per la Sostenibilità Digitale. Il tema, questa volta, è quello della Smart Mobility

Continua il percorso di presentazione dei dati della ricerca realizzata dalla Fondazione per la Sostenibilità Digitale finalizzata a definire quali siano, nella percezione degli italiani, i rapporti tra tecnologia digitale e sostenibilità. Dopo i dati riguardanti la percezione delle relazioni tra sostenibilità e digitale e quelli dedicati al punto di vista dei cittadini sui temi dello Smart Living e dello Smart Environment, è la volta della mobilità urbana.

Spesso si pensa che la sola realizzazione di sistemi di trasporto possa automaticamente generare comportamenti diversi di mobilità, quando non è assolutamente così

In questo momento, il tema della sostenibilità legato alla mobilità è assolutamente centrale in quasi tutte le agende politiche. Tuttavia, quando si parla di mobilità sostenibile, occorre capire cosa sia realmente e cosa significhi”, ha spiegato Gianfranco Fancello, Professore di Progettazione di sistemi di trasporto presso l’Università di Cagliari, partner della Fondazione per la Sostenibilità Digitale, nel suo keynote speech d’apertura del webinar. “A guardare i dati sull’utilizzo dei servizi di Smart Mobility, viene da chiedersi: la mobilità sostenibile è una ‘moda passeggera’, un qualcosa su cui ci piace confrontarci ma poi alla fine non modifica i comportamenti, oppure un reale cambio di paradigma? Senz’altro è un tema giovane, e che anche le amministrazioni faticano a capire, confondendolo spesso con quello dei trasporti. Per questo è innanzitutto importante distinguere tra la mobilità, che è un bisogno derivato per rispondere ad un’esigenza di spostamento dell’utenza, e i sistemi di trasporto, che invece consentono a quello spostamento di concretizzarsi: si confonde spesso, cioè, l’obiettivo con lo strumento per raggiungerlo. Nel momento in cui mi occupo di mobilità, e devo far sì che i bisogni di mobilità dell’utenza possano essere soddisfatti, devo quindi trovare i sistemi di trasporto migliori e che siano funzionali a determinate esigenze. Spesso invece, accade il contrario: si realizzano, ad esempio, piste ciclabili indipendentemente dal fatto che siano utili o meno, che le persone possano utilizzarle in modo corretto oppure no. Si pensa, cioè, che la sola realizzazione di sistemi di trasporto possa automaticamente generare comportamenti diversi di mobilità, quando non è assolutamente così. Insomma, spesso si realizzano sistemi di trasporto sostenibili, come il carsharing o il bikesharing, lamentandosi poi che questi non vengono utilizzati: in realtà, però, ad essere sostenibile non era il concetto di mobilità, ma soltanto lo strumento, che però non rispondeva ad alcuna esigenza reale”.

Le città digitali sono città ‘piattaforma’, cioè quelle in grado di abilitare fenomeni come quello della smart mobility: tuttavia, in questo momento, queste piattaforme abilitanti non appartengono a tutto il Paese, ma soltanto ad una manciata di città

Le soluzioni di Smart Mobility, quindi, devono anzitutto partire da un bisogno di mobilità. Allo stesso modo, non si può parlare di soluzioni di questo tipo senza il digitale, nel suo ruolo di abilitatore fondamentale: le città, da questo punto di vista, sono pronte a tale cambiamento?Credo che temi come quello della Smart Mobility siano profondamente legati a quella che è la cultura del territorio. Da questo punto di vista, nonostante si parli spesso di temi legati allo smart, dagli smart building allo smart working, nelle città, in questo momento, non c’è ancora tutta questa smartness”, ha commentato Gianni Dominici, Direttore Generale di FPA, nel secondo keynote della serata. “Tuttavia, il presupposto per andare verso servizi di natura avanzata è avere un’infrastruttura alla base, un’innovazione istituzionale, culturale e tecnologica. Noi come FPA da 10 anni realizziamo un rapporto sulle città italiane digitali, e i risultati del rapporto evidenziano che ad oggi, su questi processi di innovazione, in Italia c’è una grande differenziazione geografica e dimensionale. C’è ad esempio una “questione meridionale digitale”: i capoluoghi meridionali si collocano, infatti, con maggiore frequenza nella fascia bassa delle graduatorie. Lo stesso vale per i piccoli centri, che spesso non riescono a stare al passo con i processi di innovazione delle grandi città. Insomma, le città digitali sono città ‘piattaforma’, cioè quelle che sono in grado di abilitare fenomeni come quello della smart mobility: tuttavia, in questo momento, queste piattaforme abilitanti non appartengono a tutto il Paese, ma soltanto ad una manciata di città”.

Quello della trasformazione digitale è dunque un ruolo centrale nel ripensare i sistemi di mobilità in una direzione che guardi alle esigenze dei cittadini nella nuova normalità e che vada nella direzione necessaria per vincere le sempre più urgenti sfide della sostenibilità ambientale. Ma i cittadini italiani sono consapevoli di questo? Cosa pensano, in sostanza, del ruolo e del potenziale delle nuove tecnologie in quest’ambito?

Inquinamento e clima? Per un italiano su quattro c’è ancora tempo per affrontare il problema

Circa un quarto del totale delle emissioni di gas a effetto serra dell’UE deriva dal settore dei trasporti: un dato che basta – da solo – ad evidenziare in maniera inequivocabile la necessità di ripensare in una dimensione di sostenibile il trasporto urbano.

Tuttavia, per comprendere come ripensare il settore, non si può non partire da un dato: ben un italiano su quattro (il 26% per quanto riguarda il cambiamento climatico, ed il 24% se ci si riferisce all’inquinamento) pensa che il problema dell’inquinamento sia sì importante, ma che siano altre le priorità da affrontare. “Se a questo si aggiunge – sottolinea Stefano Epifani, Presidente della Fondazione per la Sostenibilità Digitaleche solo il 37% degli intervistati è in grado di correlare con cognizione di causa la sua visione ideologica della sostenibilità con le proprie opinioni su temi ambientali, sociali ed economici e – di conseguenza – con le conseguenze pratiche delle proprie azioni, è evidente come ci sia un problema di consapevolezza correlato a questi temi assolutamente prioritario da affrontare”.

Il profilo dell’utente di Smart Mobility

Qual è il profilo dell’utente tipo dei servizi di smart mobility? Donna o uomo che sia (non si rilevano differenze di genere significative) vive prevalentemente in un grande centro, è giovane ma non giovanissimo (ha tra i 25 ed i 34 anni: il coefficiente d’uso nella fascia 18-24 cala leggermente) e ritiene di avere un buon livello di competenza digitale (in particolare: il 35% di quanti si dichiarano con buone competenze digitali usa servizi di smart mobility. Percentuale che scende al 18% se si guarda a quanti ritengono che le loro competenze siano scarse). Molto significativo anche il livello di scolarizzazione: isolando il campione di quanti conoscono questi strumenti, ben quattro italiani su cinque dotati di sola licenza media non ne fa uso pur conoscendone l’esistenza. Rapporto che scende a 7 su 10 nel caso di chi ha un diploma di scuola media superiore e scende ancora ad uno su due per i laureati.

Smart mobility: quali sono i servizi più diffusi?

Cambiare i comportamenti consolidati è difficile, e per farlo non basta una generica condivisione ideologica di un valore, se non si comprende come tale valore debba generare un cambiamento nelle abitudini di tutti noi

Com’era prevedibile, il servizio più utilizzato dagli utenti è quello di navigazione satellitare, ormai conosciuto da ben il 98% degli utenti, anche se resiste uno zoccolo duro del 14% di essi che preferisce affidarsi alla vecchia mappa cartacea. Significativo, guardando alla consapevolezza rispetto alla sostenibilità, come ben il 45% di quanti sanno che i principali navigatori satellitari mettono a disposizione funzioni per scegliere il percorso più sostenibile non ne faccia uso. “Altra dimostrazione del fatto, emerso in molti aspetti delle nostre ricerche, che cambiare i comportamenti consolidati è difficile, e che per farlo non basta una generica condivisione ideologica di un valore se non si comprende come tale valore debba generare un cambiamento nelle abitudini di tutti noi. Condizione necessaria perché gli obiettivi di sostenibilità che ci stiamo prefiggendo possano essere davvero raggiunti” evidenzia Stefano Epifani. Stessa situazione, con tassi di penetrazione ben diversi, per gli altri strumenti di mobilità smart: i servizi di carpooling sono conosciuti dall’82% degli italiani, ma solo il 5% ne fa un uso regolare, ed il 14% vi ricorre solo raramente. E più o meno gli stessi numeri si riscontrano per i servizi di carsharing e bikesharing. Certo è che la pandemia non ha aiutato la diffusione dei servizi di condivisione dei mezzi di trasporto. Il carsharing, per esempio, viene utilizzato – raramente (17,4%) o regolarmente (5,6%) – da circa un quarto degli intervistati: “Ritengo che, essendo questo un servizio partito circa dieci anni fa, una persona che ne fa utilizzo su quattro non sia poi così male, soprattutto considerando l’inerzia che abbiamo nel cambiare i nostri comportamenti come esseri umani”, ha commentato Dario Pagani, Enterprise Vice President Global Digital & IT di Eni, partner della Fondazione. “È chiaro che questi dati risentono sicuramente anche di un tema di localizzazione: infatti, non si può parlare di carsharing allo stesso modo per tutte le città italiane, perché in alcune ci sono senza dubbio delle propensioni migliori rispetto ad altre. Altro elemento da considerare, poi, è quello culturale, che porta alcuni individui a preferire il possesso di un bene come l’automobile, secondo una concezione tramandata di generazione in generazione.

Per favorire l’uso di questo servizio, si dovrebbe vedere il carsharing in una concezione ‘di massa’, nel senso che chi lo utilizza dovrebbe poter arrivare in dei luoghi dove poter effettuare degli interscambi

Per favorire l’uso di questo servizio, si dovrebbe vedere il carsharing in una concezione ‘di massa’, nel senso che chi lo utilizza dovrebbe poter arrivare in dei luoghi dove poter effettuare degli interscambi. In Eni stiamo ragionando proprio su questo nell’evoluzione delle nostre stazioni di servizio: delle aree, cioè, in cui poter lasciare la propria automobile e fare l’ultimo pezzo con un carsharing, oppure dove posso arrivare più vicino ad un treno o ad altri mezzi di trasporto. Inoltre, anche parlando di una soluzione come il carsharing, bisogna ragionare in termini di una mobilità che sia sempre più sostenibile: per questo, affianco alle nostre Cinquecento rosse, inseriremo anche delle macchine elettriche. In questo modo si va ad incidere anche su quella popolazione che ha maggiore sensibilità sui temi della sostenibilità. Una sostenibilità vera e a 360 gradi”.

La mobilità elettrica è sicuramente un’opportunità per il nostro Paese nella lotta all’inquinamento atmosferico: la sfida che abbiamo davanti, quindi, è di cogliere questa opportunità

Quello della mobilità elettrica è infatti un ambito in grande fermento nel campo della mobilità sostenibile e che, ha spiegato Clio Ceccotti, Head of Technology, Market and Environment di Motus-E, rappresenta “sicuramente un’opportunità per il nostro Paese nella lotta all’inquinamento atmosferico: la sfida che abbiamo davanti, quindi, è di cogliere questa opportunità. Per sostenerne lo sviluppo, crediamo sia fondamentale che il legislatore e il sistema paese diano un messaggio chiaro, e cioè quello che è arrivato il momento di investire nella transizione, dando anche una chiara direzione rispetto a dove vogliamo andare: questo è necessario affinché tutto l’ecosistema possa muoversi ed adeguarsi, anziché farsi trascinare da questo nuovo tipo di mobilità. Noi come Motus-E, già dal momento in cui si discuteva a proposito del Recovery Plan, evidenziavamo l’importanza come sistema Paese, oltre che di dare incentivi per l’acquisto di veicoli elettrici, utili per abbassare quella differenza di costo d’acquisto esistente tra questi veicoli e quelli ‘classici’ a combustione interna, di spingere anche su altri fattori che attorno alla mobilità elettrica vanno a fare ecosistema: ad esempio, sostenere piani concreti sulle infrastrutture di ricarica, e definire la direzione che tutta l’industria delle auto deve prendere per riconvertire le linee produttive sulla base di un’industria più elettrificata. Legata a questo, poi, c’è il tema dell’importanza della formazione di nuove competenze: su questo stiamo lavorando molto, perché crediamo sia molto importante”.

Il Maas, che prima era incentrato molto sull’utilizzo delle risorse condivise, quindi dello sharing e dei servizi pubblici, oggi potrebbe diventare più un’integrazione tra i veicoli della sfera privata e la mobilità disponibile come servizio pubblico. Per integrare questi due mondi servono delle piattaforme, e qui il digitale ha un ruolo fondamentale

Un italiano su cinque, infine, non conosce l’esistenza di soluzioni per la mobilità dolce ed integrata, ma degli altri quattro solo l’11% ne fa un uso regolare. “In ACI Informatica stiamo cercando da un lato di migliorare la gestione del veicolo privato, dall’altro stiamo guardando a quello che può essere il futuro della mobilità, e quindi al Mobility as a Service e gli altri servizi”, racconta Francesco Castanò, Direttore  Sistemi Informativi e Agenda Digitale di ACI Informatica e partner della Fondazione. “Peraltro, il Maas, che prima era incentrato molto sull’utilizzo delle risorse condivise, quindi dello sharing e dei servizi pubblici, oggi potrebbe diventare più un’integrazione tra i veicoli della sfera privata e la mobilità disponibile come servizio pubblico. Per integrare questi due mondi servono delle piattaforme, e qui il digitale ha un ruolo fondamentale abilitando la gestione intelligente delle risorse. La vera spinta a questo sistema si ha quando questo diventa anche uno strumento per indirizzare dei comportamenti. C’è un dato interessante nella ricerca, che evidenzia il fatto che i cittadini non sono disposti a spendere di più per servizi di sharing maggiormente sostenibili: ecco, un city manager che governa una piattaforma di MaaS può, assumendo il ‘costo sociale’ della sostenibilità, indirizzare i comportamenti degli individui in una direzione più sostenibile”.

Il nostro aeroporto, così come gli aeroporti in generale, rappresenta un link importante: per questo diventiamo non solo una sorgente di mobilità, ma anche un canale che può essere preso a riferimento per esigenze di mobilità locale

Rimanendo in tema d’integrazione, anche gli aeroporti rappresentano degli elementi nodali fondamentali nella ridefinizione dei flussi urbani, ed è intorno a questo valore che si è sviluppato l’intervento di Paolo Deforza, Mobility and Environment Affairs Manager di SACBO. “La carbon footprint dell’aeroporto è costituita per circa due quinti dall’accessibilità allo scalo di passeggeri e lavoratori, per due quinti dall’attività volativa di per sé, e per il restante quinto dal fabbisogno energetico che l’aeroporto necessita per funzionare. Per cui, sicuramente, la parte dell’accessibilità è importantissima e quindi oggetto di attenzione sempre maggiore. Il nostro piano di sviluppo aeroportuale, infatti, prevede circa un quarto dei suoi investimenti proprio dedicati all’accessibilità, che sia accessibilità ferroviaria, stradale, e accessibilità dal punto di vista funzionale. Il nostro aeroporto, così come gli aeroporti in generale, rappresenta un link importante: per questo diventiamo non solo una sorgente di mobilità, ma anche un canale che può essere preso a riferimento per esigenze di mobilità locale per raggiungere Milano in modalità condivisa. Per cui l’accessibilità ferroviaria su Milano centrale, piuttosto che tutti quei bus che hanno corse ogni venti minuti da noi a Milano, o Bergamo o provincia in generale, diventano un valore aggiunto per chi vuole raggiungere il centro città, senza andarci direttamente in macchina. È nel valorizzare questa integrazione funzionale, rendendo il tutto armonizzato dal punto di vista organizzativo, che secondo me la digitalizzazione assume un ruolo principe in questo settore”.

Smart Mobility: un uso consapevolmente sostenibile?

Per comprendere il livello di consapevolezza degli utenti di servizi di smart mobility è significativo analizzare quanti di essi lo facciano perché li trovano semplicemente più comodi e quanti – invece – perché effettivamente sostenibili.

Dalla ricerca emerge un aumento di diffidenza verso la tecnologia da parte di quanti dichiarano posizioni ideologicamente vicine a criteri di sostenibilità eco-centrica forte. In altri termini, afferma Stefano Epifani, “chi, pur talvolta pur non comprendendone esattamente le conseguenze concrete, condivide convinzioni profondamente e radicalmente ambientaliste, è – in generale – più diffidente nei confronti della tecnologia rispetto a chi ha opinioni più moderate. Il risultato di questa tendenza è un dato che fa capire quanto gli atteggiamenti tecnofobici possano essere controproducenti. Infatti, di quanti conoscono i servizi di smart mobility, sono il 42% di coloro i quali considerano cambiamento climatico ed inquinamento problemi secondari a farne uso. Percentuale che scende al 30% se si guarda a quanti li ritengono, invece, problemi prioritari. In altri termini la diffidenza nei confronti della tecnologia è più forte del fatto che la tecnologia potrebbe essere un’alleata nell’assumere comportamenti più sostenibili”.

È importante portare cultura digitale alle persone che non ce l’hanno, veicolandone l’utilità, e accompagnare questo alla sensibilizzazione degli individui rispetto all’impatto che le loro singole azioni sostenibili possono avere sulla lotta ai cambiamenti climatici

L’incoerenza dei dati dimostra che le scelte dei singoli individui non vengono fatte consapevolmente per l’ambiente, ma sono dettate da altri driver e quindi in funzione dei benefici, come ad esempio il risparmio economico, che il singolo trae dall’utilizzo di questi servizi”, commenta Federica Bertoni, Digital Innovation Manager di Falck Renewables. “Credo che questa incoerenza sia dovuta al fatto che manca una sensibilizzazione efficace sul fatto che possa esistere una soluzione win-win, per cui soluzioni che contrastano il cambiamento climatico possono essere, al contempo, soluzioni vantaggiose economicamente per la singola persona. Inoltre, influisce anche il fatto che il cambiamento climatico è visto come un problema globale, piuttosto che come un problema verso il quale il singolo individuo deve agire: in realtà, però, la somma dei contributi di ognuno potrebbe aiutare nel trovare la soluzione vincente ad affrontare queste problematiche. Dai dati si vede, poi, come i principali utilizzatori dei servizi di Smart Mobility siano persone con una cultura digitale medio-alta: quest’ultimo è infatti un fattore chiave, perché affinché le attività sostenibili, e quindi anche le soluzioni per la mobilità, siano fruibili da quante più persone possibili, devono necessariamente basarsi sul digitale, altrimenti non sarebbero scalabili. In questo senso, è importante portare cultura digitale alle persone che non ce l’hanno, veicolandone l’utilità, e accompagnare questo alla sensibilizzazione degli individui rispetto all’impatto che le loro singole azioni sostenibili possono avere sulla lotta ai cambiamenti climatici”.

A consolidare il dato inerente alla scarsa attenzione da parte degli utenti di servizi di mobilità smart verso la sostenibilità altri due fattori rilevanti. In primo luogo, l’assenza di differenze significative nel tasso d’adozione di tali strumenti da parte di chi assume comportamenti coerenti con la propria visione ideologica e chi invece non ha consapevolezza delle conseguenze dei propri punti di vista sulla sostenibilità. Dato che suggerisce una scarsa correlazione effettiva tra convinzioni e comportamenti agiti. In secondo luogo, il fatto che ben l’82% degli intervistati non abbia dubbi sul fatto che nella scelta dei servizi e dei prodotti di mobilità smart – come, ad esempio, gli strumenti di carsharing – si preferisca optare per veicoli ecologici solo a parità di prezzo rispetto a quelli più inquinanti. In altri termini, se la sostenibilità ha un prezzo, gli utenti tendono a scegliere soluzioni meno sostenibili, piuttosto che affrontarne il costo.

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