Slow Food Italia, una visione distorta degli allevamenti odierni

Ancora oggi gli allevamenti industriali vengono giudicati in modo sbagliato, nonostante l’evidenza dei progressi che sono stati fatti a livello di innovazione ed in campo tecnologico e digitale, che hanno consentito a questi sistemi di poter offrire maggiori garanzie di benessere animale e sostenibilità ambientale

Immagine distribuita da Flickr con licenza CCO

Di recente, il Presidente di Slow Food Italia, Barbara Nappini, ha scritto l’articolo “Ripensiamo il benessere animale per contrastare i danni della zootecnia”, in cui si denunciano i gravi danni provocati dagli allevamenti di tipo industriale, visti come un sistema che pensa a tutto fuorché al benessere degli animali. Secondo l’articolo, gli allevamenti sono un luogo di sofferenza, in cui gli animali non sono trattati come esseri viventi, ma come macchine, dove l’unica cosa che conta è la massimizzazione della produzione e del profitto.

Nell’articolo si legge: “Si incrementa necessariamente la meccanizzazione, la stabulazione permanente, l’omogeneità genetica, il contrario di biodiversità. Con l’avvento della zootecnia si separa l’attività agricola dall’allevamento, col risultato che i contadini iniziano ad aver bisogno di fertilizzanti esterni per il loro terreno”.

Dispiace che ancora oggi gli allevamenti industriali vengano giudicati in modo sbagliato, nonostante l’evidenza dei progressi che sono stati fatti a livello di innovazione ed in campo tecnologico e digitale, che hanno consentito a questi sistemi di poter offrire maggiori garanzie di benessere animale e sostenibilità ambientale. L’incremento della meccanizzazione e della robotica ha permesso di automatizzare i processi, sollevando l’allevatore dalle fasi più intense e stressanti. Basti pensare ad una sala di mungitura, dove gli step avvengono ormai in modo del tutto automatico, con una maggior sicurezza per gli animali e per l’uomo.

Dispiace dover constatare che l’autrice dell’articolo sia completamente all’oscuro del fatto che oggi gli allevamenti industriali moderni sono detti “di precisione”, “confinati” e “protetti”, gestiti grazie al digitale, e capaci di garantire un monitoraggio continuo e tempestivo degli animali, riducendo le interazioni con l’uomo (e quindi anche il pericolo di zoonosi, ossia quelle malattie che si trasmettono dagli animali all’uomo). Grazie a tecnologie avanzate viene svolta un’accurata selezione genetica che permette di tutelare la biodiversità e allontanare le patologie, aumentare il benessere degli animali, ridurre l’impiego dei farmaci e l’impatto ambientale, attraverso l’ottimizzazione del rapporto tra input e output.

Un esempio è il precision feeding, cioè la possibilità di alimentare gli animali in modo preciso, attraverso miscele appositamente bilanciate per offrire ad ogni singolo soggetto esattamente i nutrienti di cui ha bisogno a seconda della fase produttiva e delle esigenze reali dell’animale. Si evitano così gli sprechi di alimento, aumentando l’efficienza, la qualità delle produzioni e la loro sostenibilità ambientale. Infatti, attraverso la mangimistica è possibile ridurre le emissioni di metano, grazie a formulazioni in grado di agire sulla digestione degli animali e diminuire la formazione di gas climalteranti persino del 92%.

Inoltre, gli allevamenti moderni sono un esempio perfetto di economia circolare. Le deiezioni degli animali come il letame vengono recuperate per produrre biogas, energia pulita rinnovabile, che viene impiegata per alimentare l’azienda stessa. Oppure per produrre fertilizzante naturale, con cui concimare i terreni sui quali vengono coltivati i foraggi autoprodotti dall’azienda, che serviranno per alimentare i suoi animali, in un ciclo chiuso virtuoso, dove niente viene sprecato e dove lo scarto diventa risorsa.

Questo tipo di allevamenti garantisce oggi elevati livelli di benessere animale, grazie a spazi ampi degli ambienti, all’eliminazione della competizione per il cibo tra i soggetti, alla presenza di ventilatori e sistemi che controllano costantemente la qualità dell’aria, la temperatura e l’illuminazione.

L’autrice dell’articolo sembra ignorare come funzionano gli allevamenti industriali, barriera protettiva contro la diffusione di malattie. Proprio così: lì gli animali sono confinati e controllati, senza contatti con gli animali selvatici, veri veicoli di virus, né con l’uomo, con cui le interazioni sono ridotte al minimo. La biosicurezza è garantita ai massimi livelli, con l’intervento tempestivo delle autorità sanitarie al primo campanello d’allarme.

Perfino contro l’antibiotico-resistenza il settore zootecnico è quello che ha fatto di più, ottenendo una riduzione degli antibiotici del 47% negli ultimi dieci anni. E sono continui gli sforzi per arrivare alla loro totale eliminazione, con strumenti come i vaccini, agendo sul miglioramento del benessere, e rendendo gli animali più forti attraverso l’alimentazione e la selezione genetica. L’articolo di Slow Food non menziona la medicina umana, vero problema oggi per l’antibiotico-resistenza, dove l’abuso di antibiotici e il loro utilizzo sbagliato continua ad essere a livelli allarmanti.

E invece parla di “deiezioni pericolose”, di “omogeneità genetica”, di “devastazione ambientale e sfruttamento degli ecosistemi”, ignorando completamente la gestione delle deiezioni per produrre fertilizzanti naturali, senza le quali ci sarebbe un maggiore ricorso alla chimica. L’omogeneità genetica menzionata nell’articolo non esiste, anzi al contrario, grazie ai genetisti che operano in allevamento e guidano l’allevatore negli incroci, viene garantita la variabilità genetica, condizioni necessaria per non rendere l’intera mandria più fragile, e meno produttiva.

Gli allevamenti permettono inoltre la cura del territorio e del paesaggio. Sono fra gli ultimi argini alla cementificazione, evitano il dissesto idrogeologico, l’abbandono delle aree rurali. Grazie poi al carbon farming e all’agricoltura rigenerativa, oggi è possibile produrre cibi ad alto valore nutrizionale in neutralità climatica.

Ci auguriamo di leggere prossimamente un articolo di Slow Food scritto con maggior consapevolezza, senza pregiudizi o ideologie. Perché un’associazione seria ed equilibrata come questa non può e non deve accusare un settore che, al di là della sua importanza a livello ambientale, sociale, economico e culturale, sta facendo molto per ridurre i suoi impatti.

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