Per ridurre le emissioni di CO2 del 37,5% con i veicoli privati e del 31% con i veicoli commerciali entro il 2030, come da indicazioni dell’UE, non serve un miracolo ma una riconversione. Dei comportamenti, dei veicoli, della produzione, delle tecnologie, degli stili di vita. Molte limitazioni sono già state applicate in diverse città di Italia per le vetture diesel, e limitazioni inevitabili dovremo aspettarcele nei prossimi anni non solo per quel che riguarda la circolazione, ma anche la produzione e la vendita.
Cambia la mobilità ma cambia anche la percezione degli spazi cittadini e la sensibilità nei confronti della diminuzione delle emissioni. Per questo apprendiamo dal Report Città MEZ 2021 che se dal 2019 sono state vendute il 20% di auto “tradizionali” in meno, il mercato delle auto elettriche ha aumentato le vendite del 500%. Un dato tranquillizzante rispetto alla prospettiva della perdita di 60mila posti di lavoro prevista con la fine della produzione delle auto alimentate a diesel o benzina.
Siamo ancora lontani dagli altri paesi europei ma abbiamo buoni comportamenti per quanto riguarda la mobilità “leggera”, l’uso di monopattini elettrici o e-bike, mentre ancora scarsi sono i risultati della riconversione in elettrico del trasporto pubblico locale.
Ma cosa pensano i cittadini italiani della mobilità sostenibile? Da una ricerca della Fondazione per la Sostenibilità digitale emerge una significativa discrepanza tra i comportamenti degli italiani rispetto alla mobilità smart e la consapevolezza della mobilità smart come strumento di sostenibilità: un paradosso per il quale chi ne fa uso non ne comprende appieno le potenzialità e non ne indaga i meccanismi. Il digitale, infatti, scheletro della mobilità interconnessa, viene considerato secondario, se non addirittura “una minaccia”.
In definitiva, il driver che spinge gli italiani ad usare i servizi di car sharing o scooter sharing per muoversi non è la sostenibilità, ma la comodità. Un dato che dovrebbe far riflettere non solo tutti noi su un gap formativo riguardante i temi della sostenibilità ambientale, ma anche gli operatori del settore che hanno il dovere di progettare soluzioni sostenibili ma anche in linea con le effettive esigenze degli utenti.
Un approccio “pieno” come lo spazio che abitiamo
Eppure la mobilità sostenibile, un nuovo modo di vivere la città, richiede un approccio olistico, pieno, come è pieno lo spazio che abitiamo: ce lo racconta una figura ibrida nata in questi anni, il placemaker, un inventore dei luoghi contemporanei, che con la creatività di un designer, con la sensibilità di un artista, con gli studi di un urbanista cerca di costruire un nuovo approccio sostenibile con cui rapportarci alla strada che percorriamo ogni giorno.
In questo ecosistema ricoprono un ruolo importantissimo le normative che, mentre in alcuni paesi europei come la Francia abbinano limitazioni al traffico e divieti di immatricolazione di veicoli inquinanti ad incentivi per la mobilità sostenibile, in Italia, stando all’ultimo Decreto Infrastrutture, si concentrano per lo più su limiti – molto spalmati nel tempo – ai veicoli più inquinanti e solo per quel che riguarda il trasporto pubblico nel quale l’Italia è fanalino di coda d’Europa: basti pensare che in base alla Clean vehicle directive ratificata dall’UE, già a partire dallo scorso anno un bus su 5 dovrà essere elettrico, mentre in Italia sia nel 2019 che nel 2020 solo il 5% degli autobus immatricolati rispettano queste caratteristiche. Lo stanziamento di 5 milioni di euro nel 2022 e di 7 milioni nel 2023 dovrebbero servire a ridurre questo gap entro il 2035.
Ridisegnare la mobilità urbana, un fatto etico che passa dalla tecnologia
Per un nuovo paradigma della mobilità si osservano due ordini di cambiamenti: uno è rappresentato da un nuovo stile di vita nel quale la MaaS (Mobility as a Service) funzioni da catalizzatore di pratiche di condivisione che vanno a sostituire il possesso del mezzo di trasporto, un cambiamento ancora agli stalli di partenza: dall’ultima ricerca della Fondazione per la sostenibilità digitale è chiaro come solo il 37% del campione sia in grado di correlare la propria visione ideologica sulla sostenibilità con le azioni che mette effettivamente in pratica ogni giorno.
L’altro grande cambiamento è la trasformazione digitale che deve permeare questo nuovo approccio.
Dal punto di vista delle tecnologie digitali il primo passo è integrare i dati: scambiando le informazioni tra smartphone, veicoli connessi e infrastrutture intelligenti sarà possibile tracciare il percorso più rapido e più sostenibile, rispondere più rapidamente a imprevisti o incidenti e deviare il traffico grazie a sistemi di navigazione capaci di aggiornarsi in tempo reale e in base agli eventi. Monitorare i trasporti merci e le consegne sull’ultimo miglio vuol dire riuscire a dirigere il traffico in modo da non congestionare le strade, sia per i pedoni e per il trasporto pubblico che per gli automobilisti. E ancora, connettere le varie possibilità di muoversi in città – car pooling, car sharing, e-bike, biciclette, monopattini messi a disposizione da diverse aziende – tramite app integrate che parlino una stessa lingua (o, addirittura, una soltanto) significa riformare completamente le nostre abitudini di muoverci e rappresenta una nuova pianificazione degli spostamenti, più “intelligente”, meno sottoposta a noiosi imprevisti o all’ignoto.
Integrando inoltre i dati del traffico geolocalizzato sarà possibile, per gli enti predisposti, agire con iniziative e/o normative lì dove c’è più congestione, durante tutto l’anno o in determinati periodi: si tratterebbe di un’organizzazione non infallibile ma comunque previdente grazie all’uso di algoritmi predittivi.
Il percorso conta quanto la destinazione. Meglio se “intelligente”
Perché l’integrazione digitale avvenga, è necessaria una collaborazione tra aziende che progettano soluzioni di mobilità, comuni, istituzioni, enti e autorità per la sicurezza.
La certezza di poter trovare un’auto in sharing nel luogo indicato dalla mia app per avvicinarmi a destinazione, sapere dove poter parcheggiare e subito poter controllare il mezzo da prendere che mi porterà da un punto A ad un punto B del centro città chiuso al traffico delle auto, sempre potendone acquistare qualunque biglietto in tempo reale e tramite una sola piattaforma, non è un sogno, è un’opportunità, ma che richiede sinergie significative tra diversi attori soprattutto quando si parla di sicurezza e responsabilità: la security by design fatta di protocolli trasparenti – sottolinea il World Business Council for Sustainable Development (WBCSD) nel suo dossier Enabling data-sharing: Emerging principles for transforming urban mobility – deve essere la prima priorità per reti e infrastrutture che hanno a che fare con la vita e la sicurezza delle persone e che fanno della condivisione la caratteristica principale.
L’analisi che garantisce l’intelligenza artificiale può aiutare anche le amministrazioni pubbliche a ottenere flussi di spostamenti nelle zone a traffico limitato e a gestire le tariffazioni personalizzate su base oraria o di veicoli più o meno inquinanti. È quello su cui lavora l’azienda romana TopNetwork con le sue “pensiline intelligenti” alimentate ad energia solare capaci di riconoscere l’affluenza di cittadini in attesa e predisporre corse di autobus in più comunicando in tempo reale con la società del trasporto pubblico. Ma la stessa comunicazione è multidirezionale: in caso di imprevisti o ritardi l’AI di questi nuovi sistemi comunicherà con gli utenti tramite monitor touch su strada. Segnalazioni per eventuali necessità ambo le parti, diagnostica dei flussi e dei comportamenti cittadini permetterebbero un lavoro di monitoraggio e reportistica che può davvero aiutare gli enti locali a trovare le migliori soluzioni possibili e personalizzate per una nuova mobilità.
Mezzi smart, città digitali e… viceversa
Che ci voglia il salto del digitale per rendere intelligenti le nostre città è la mission di Almaviva che ha costruito Moova, piattaforma nativa open source in grado di connettere diversi operatori della mobilità in ottica di flessibilità e interoperabilità. La piattaforma è dedicata sia alla logistica e al trasporto merci che alle persone. In collaborazione con l’Università Federico II, l’azienda ha messo in piedi diverse soluzioni di mobilità sostenibile su vari fronti: gestione dei flussi di traffico e sicurezza, management dei trasporti, interconnessione tra la mobilità privata e quella pubblica in un unico ecosistema, trasformazione digitale degli snodi principali, porti, aeroporti, stazioni.
Un tentativo importante anche per colmare la “questione meridionale digitale”, che vede il Sud Italia ancora poco attrezzato per le soluzioni di mobilità sostenibile.
A sostegno della mobilità elettrica si muove Route 220, startup milanese che ha creato EvWay, piattaforma che rende più facile l’accesso alle colonnine di ricarica garantendo al guidatore elettrico un servizio di geolocalizzazione, accesso, pagamento con tanto di navigatore integrato dedicato esclusivamente a chi sceglie l’auto elettrica, itinerari e indicazione delle ricariche senza bisogno di prenotazione.
Sitael, azienda di Mola di Bari, si è invece dedicata alle biciclette, progettando VAIMOO, sistema che connette l’e-bike a un cloud tramite bluetooth o GPS per lo scambio di informazioni sui veicoli in uso, segnalandone posizioni ed eventuali malfunzionamenti. Una risorsa per i servizi di bikesharing scelta per il suo valore in diverse città d’Europa.
Anche Targa Telematics, azienda italiana con sedi in Francia e UK sviluppa soluzioni per la gestione della mobilità sostenibile e condivisa mettendo in comunicazione veicoli, utenti e sistemi tramite Internet of Things: noleggio a lungo termine, soluzioni antifurto e per la sicurezza, riduzione degli sprechi, sempre in un’ottica di interoperabilità personalizzata per il b2b.
Infine, con uno sguardo dedicato alla sicurezza dei veicoli, il sistema di mobilità connessa Youmble di TopNetwork si dedica ai dati diagnostici delle vetture per migliorare la manutenzione: lo fa tramite analisi predittiva con l’applicazione di sensori e le “black box” installate sulle auto.
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