Dai “Ghost Restaurant” alle “Dark” e “Cloud” Kitchen: ecco come sta cambiando la ristorazione italiana

La ristorazione italiana guarda ormai da anni alle opportunità della trasformazione digitale adottando, tra le altre cose, forme di food delivery. La pandemia, però, ha accelerato la diffusione di nuovi modelli di business interamente "technology driven", costruiti per i nuovi stili di vita e di consumo dei cittadini

Immagine distribuita da Pixabay

Oramai da molti anni anche la ristorazione italiana guarda alla trasformazione digitale, come già era emerso dai dati della FIPE pre-pandemia, anche con un occhio attento alla sostenibilità digitale, intesa come strumento per migliorare le condizioni dei lavoratori socialmente più esposti (come ad esempio i rider). Tuttavia, lo stravolgimento dovuto ai lockdown ed ai nuovi rischi sociali percepiti da molti, ha impresso un’accelerazione alla diffusione di nuovi modelli di business ristorativi che sono interamente “technology-driven”. Non parliamo più soltanto di ristoratori cosiddetti “tradizionali” che decidono di adottare forme di e-commerce e food delivery per il proprio locale, ma si tratta di nuovi modelli di business resi possibili dalle nuove tecnologie digitali e già costruiti e pensati per i nuovi stili di vita e di consumo dei cittadini di tutto il mondo.

I numeri del food delivery spingono i nuovi modelli di business

Il nuovo mondo del food delivery, che negli ultimi anni tutti hanno imparato a conoscere, è oggi un sistema sempre più maturo e capillarmente diffuso, governato da alcune importanti piattaforme presenti in tutto il mondo. In Italia i numeri del food delivery market sono in costante crescita, già da prima del Covid19, e si stima che nel 2021 supereranno il miliardo di euro come giro d’affari. Secondo le ricerche del gruppo bancario UBS, infatti, il trend è destinato a crescere di dieci volte entro il 2030 su scala globale, passando così dagli attuali 35 miliardi di dollari ai circa 365 miliardi di dollari.

In Italia i numeri sono rilevanti, se si considera che nel 2019 il mercato dell’online food delivery valeva 560 milioni di euro e nel 2020 i numeri sono quasi raddoppiati, raggiungendo i 900 milioni e, per la fine del 2021, si stima che il valore di mercato si attesterà su 1,45 miliardi di euro.

La crescita del mercato nel 2020, che come si è visto ha portato a circa il +46% sul 2019, ci parla anche della localizzazione di questo stesso mercato, poiché un altro aspetto rilevante è che il food delivery nel suo complesso ha una copertura pari al 93% delle città sopra i 50mila abitanti e con le grandi aree metropolitane di Milano, Torino e Roma sempre in testa come leader nel food delivery. La massiccia affermazione del food delivery negli stili di vita e di consumo delle persone, oramai su scala globale, ed i volumi di capitale che tali servizi muovono attraverso le principali piattaforme digitali, stanno spingendo la ristorazione verso nuove e radicali trasformazioni dei propri modelli organizzativi e produttivi.

Dal delivery alle “cucine senza ristorante”

Questa crescita esponenziale del food delivery ha comportato, anche in Italia, una accelerazione nella diffusione dei nuovi modelli di business nel settore ristorativo già presenti all’estero. Dalla fine del 2017 ad oggi, in tutta Italia si stanno moltiplicando i modelli di ristorazione basati sulle cosiddette “cucine senza ristorante”: luoghi incentrati sulla sola produzione di cibo e definiti secondo categorie che rispondono ai nomi di “dark kitchen”, “ghost kitchen”, “cloud kitchen” e “virtual kitchen”. Secondo l’istituto di ricerca Euromonitor International il mercato delle dark kitchen è destinato a crescere esponenzialmente, raggiungendo il trilione di dollari di valore mondiale entro il 2030. Euromonitor stima, inoltre, che il mercato delle “cucine senza ristorante” assorbirà il 50% dell’attuale servizio di take away (per un valore di circa 75 miliardi di dollari) ed il 50% del servizio da asporto (250 miliardi). Inoltre, anche il 35% del mercato dei pasti pronti (40 miliardi) passerà a questi nuovi modelli di business, assieme al 30% dei “meal kits (valore 100 miliardi), al 25% della ristorazione tradizionale (per un valore di 450 miliardi) ed il 15% degli snack confezionati (125 miliardi di dollari).

L’ascesa della consegna di cibo su richiesta sta guidando un cambiamento radicale nell’industria globale del cibo e delle bevande – scrive Euromonitor – Le ghost kitchen ed i ristoranti virtuali rappresentano entrambi adattamenti al boom della domanda di consegne, uno dal lato della produzione, l’altro del branding. Entrambi continueranno ad espandersi man mano che più operatori cercheranno di adattare le loro operazioni. La consegna e le ordinazioni online stanno diventando aspettative di base per i consumatori. In futuro, i ristoranti di successo dovranno pianificare tutte le loro operazioni (imballaggio, cucine, selezione del sito) tenendo conto della consegna”.

Tra le riflessioni proposte da Euromonitor, si legge anche che “l’evoluzione della ristorazione è il ristorante senza sala, che vive solo come entità digitale, e che fa una cucina delivery-only”; sempre secondo Euromonitor International, “man mano che i pasti e gli spuntini preparati al momento occuperanno una parte più grande delle nostre vite, più ampia sarà la separazione tra i siti di produzione, i punti di vendita e l’interazione con i consumatori”.

Quali sono le caratteristiche di questi nuovi business della ristorazione?

La trasformazione digitale della ristorazione passa oggi per quattro modelli principali: le “dark kitchen”, le “ghost kitchen”, le “virtual kitchen” e le “cloud kitchen”. Pur essendoci varie sfumature o formule intermedie ed a queste sovrapponibili, i quattro business model citati sono i principali e sono così scomponibili:

Dark kitchen e Ghost kitchen

Rappresentano le formule oggi più “estreme”, in quanto si riferiscono a ristoranti pensati come dei laboratori di produzione, esclusivamente orientati al delivery, i cui prodotti sono acquistabili solo online tramite app ed i cui brand sono separati da un locale fisico. All’interno delle dark kitchen esistono poi differenti linee riferibili ai differenti menù proposti online. A Milano il fenomeno è radicato ed esistono vari esempi che vanno da KTCHN LAB (una delle prime dark kitchen in Italia) della quale non sono noti neppure i brand per i quali sviluppa i propri prodotti, a Delivery Valley, fondato da Alida Gotta e Maurizio Rosazza Prin che oltre a sviluppare un servizio “multibrand”, si pone anche come “incubatore” per nuovi brand della ristorazione. Ora anche grandi piattaforme del delivery iniziano a sviluppare le proprie dark kitchen, e in Italia, proprio a Milano, Glovo ha inaugurato nel 2020 la sua “cookroom”. Però, se da un lato vi sono degli innovatori orientati ad un mercato digital-driven, va anche detto che questi modelli si prestano anche a supportare i ristoranti “tradizionali”. In molti casi, infatti, vi sono anche ristoratori che scelgono apertamente di sviluppare all’interno della propria cucina una linea dedicata a un proprio brand “only for delivery” che consente loro numerosi vantaggi: sperimentazione di nuovi prodotti, ottimizzazione dei consumi e delle scorte di magazzino, adattamento alle mode del momento (sviluppando menu per il delivery anche radicalmente differenti rispetto al menù del ristorante fisico).

Cloud kitchen e Virtual kitchen

La cloud kitchen è un modello di ristorante in forma di co-working. In altri termini, all’interno della stessa struttura diversi operatori condividono una cucina e molti dei costi operativi. Solitamente una mette a disposizione uno spazio-cucina suddiviso in tante postazioni allestite, e chi vuole avviare un business di ristorazione delivery-only può affittare una postazione e iniziare a preparare e a consegnare i piatti attraverso le piattaforme di delivery. A differenza dei modelli precedenti, qui non si tratta di una cucina “multi-brand”, bensì di uno spazio dove ognuno è gestore della propria attività e con nessun legame imprenditoriale con gli altri ristoratori. A Roma, ad esempio, è nata di recente Kytchen, mentre a Milano cresce sempre di più la Cloud Kitchen Kuiri.

Le virtual kitchen sono invece delle sovrastrutture dei modelli precedenti: infatti, una virtual kitchen prevede la produzione e la consegna di cibo prodotto sotto licenza di franchising o licensing di un altro brand. In questo senso il modello si sovrappone a quelli precedenti perché tramite la virtual kitchen il ristoratore della cloud kitchen, ghost kitchen o dark kitchen produce all’interno dei propri locali piatti sotto il marchio per il quale è concessionario adottando ricette, comunicazione, marketing e know how fornitogli dal franchise riconoscendogli delle fee. Un modello che oggi sta già riscuotendo successo negli Stati Uniti e che sta attirando l’attenzione di importanti professionisti del mondo digital.

Non solo dei business “delivery-driven” ma anche “data-driven”

Come si è visto, l’impatto massiccio dell’uso di soluzioni app-based da parte dei cittadini di tutto il mondo per l’acquisto e la consegna a domicilio di cibi pronti, ha radicalmente rivoluzionato in pochi anni i criteri di costruzione e sviluppo dei business nella ristorazione. Gli acquisti online, supportati da grandi piattaforme di aggregazione dei servizi di delivery, ha dato origine a modelli ristorativi basati esclusivamente su cucine “virtuali” che poggiano sui servizi di consegna a domicilio.

Il vantaggio però, anno dopo anno, si è spostato dalla sola soluzione basata sulla ottimizzazione della micro-logistica e della mobilità urbana, a progetti di ristorazione che attingono a piene mani nell’uso dei dati e nelle soluzioni basate sull’intelligenza artificiale. In Italia stiamo ora recependo soluzioni, delle quali esistono già rilevanti esempi all’estero, nelle quali l’Intelligenza Artificiale elabora le grandi quantità di dati raccolti (Big Data) dagli utenti per stabilire trend di consumo e rivedere così i propri menu sulla base delle richieste e delle preferenze dei consumatori. I dati vengono anche analizzati sulla base della georeferenziazione dell’utente, così da poter prevedere sempre meglio dove e cosa consumerà al fine di rispondere tempestivamente alle sue esigenze di acquisto e di servizio.

Se da un lato questi modelli di business consentono di svincolarsi da spazi fisici ed alti costi di gestione, permettendo inoltre di ottimizzare scorte di materie prime e processi organizzativi, dall’altro il rischio è quello di una standardizzazione dell’offerta e di una apparente varietà dell’offerta a fronte di un accentramento in pochi Hub della produzione ristorativa.

Queste nuove “kitchen” sono anche delle “sustainable kitchen”?

È una domanda fondamentale alla quale la risposta da dare non è né semplice né scontata, infatti, essa dipende in parte dal modello di business al quale ci riferiamo ed in parte da fattori esogeni e sociali dei quali tenere conto.

Ad esempio, tutte queste nuove forme di ristorazione aggregano più linee di prodotto, quindi i consumi e gli sprechi complessivi per ciascun menù proposto possono ridursi (sia dal punto di vista delle materie prime impiegate sia per il consumo di energia). D’altra parte, alcuni di questi modelli hanno più linee per pochi addetti alla preparazione,  e questo rischia di appiattire la scelta e la varietà; sviluppando menù che si basano solo su una analisi dei dati di acquisto, che migliora il food cost ma riduce qualità e varietà per evitare i rischi di invenduto.

Allo stesso modo, però, sistemi come le Cloud Kitchen consentono anche ai giovani professionisti di entrare sul mercato a costi ridotti, favorendo lo startup di nuovi brand della ristorazione; inoltre, condividendo i servizi, sono in grado di ridurre drasticamente i consumi energetici e di supportare l’efficentamento della produzione giornaliera.

Infine, c’è da dire che sistemi di ristorazione del genere che aggregano grandi volumi, potrebbero avere un ruolo negoziale di peso rispetto alle compagnie di delivery favorendo l’adozione di una sorta di “delivery etico”. In futuro poi, avranno anche un impatto sulla trasformazione urbana, rivoluzionando l’occupazione e l’uso di locali commerciali e rivalorizzando in alcuni casi anche le aree urbane periferiche.

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