Il digitale italiano ti è rimasto sullo stomaco? Un rimedio da DIG.eat 2017

Se il digitale in Italia fosse una canzone sarebbe Parole, parole, parole. Se fosse un proverbio sarebbe Tutto fumo niente arrosto. Se fosse un piatto sarebbe una cosa poco digeribile, una di quelle che vedi fotografata su Instagram e ti sembra buonissima ma una volta mangiata dà vita allo slogan La cena ti è rimasta sullo stomaco? Questo si è ripetuto a più voci nel corso di DIG.Eat, evento organizzato la settimana scorsa da Anorc, Anorc Professioni e Aifag, con la collaborazione scientifica e organizzativa di Digital & Law Department.

Il digitale in Italia? Siamo ai livelli della Bulgaria, quando dieci anni fa partivamo ai livelli della Scandinavia. Vedo la politica discutere su temi etici, biotestamento e dintorni, mentre gli altri Paesi hanno già legiferato. Le forze, tutte, dovrebbero unirsi nella risoluzione del problema: innescando un processo di digitalizzazione nel Paese, si aiuterebbe tutto il resto. E invece, per partire dalle basi, abbiamo in Italia il numero di datacenter pubblici che equivale al numero di tutto il pianeta più varie altre unità di grandezza”. Così definisce il piatto digitale italiano da Luca Attias, direttore dei sistemi informativi della Corte dei Conti.

Non certo più condito di ottimismo il commento di Andrea Lisi, presidente di Anorc professioni: “Dal punto di vista del digitale la situazione della pubblica amministrazione italiana è disastrata e si sta pensando troppo poco alla privacy. Durante il Dig.Eat sono state affrontate questioni concrete, cercando di capire perché si continui a parlare di digitalizzazione, protezione dei dati e sicurezza informatica e poi non si faccia nulla. È emblematico che per il Digital Day sia stato organizzato un evento istituzionale dedicato al digitale, dove si è invece parlato di un’Europa e di un’Italia che ad oggi non esistono”.

Ma allora quali gli ingredienti suggeriti per cucinare meglio il digitale in Italia?

Partecipazione, programmazione, perseveranza (e anche pazienza) per Maria Pia Giovannini di AgID. “Facciamola finita di pensare alle sanzioni” – ha detto. “Se le cose non funzionano la colpa è nostra che non partecipiamo e non siamo parte attiva del processo“.

Concretezza, coraggio, controllo, responsabilità, risposte, rischi, energia, entusiasmo, estro, obiettivi, onestà, orgoglio secondo Emiliana Alessandrucci, presidente CoLAP.

Basta carta anche in sanità per Vincenzo Toscano, presidente Associazione Medici Endocrinologici. “Parliamo di sanità digitale, giriamo nelle corsie con i tablet ma poi al paziente consegniamo ancora copie di carta“.

Più transazioni digitali per una giusta transizione digitale secondo Antonello Busetto, direttore Assinform. “Entro il 31 marzo dovremmo avere tante imprese che si scambiano fatture elettroniche. E io mi auguro che questo accada“.

Attenzione alla digital security con indicatori definiti anche per la tutela della privacy l’ingrediente suggerito da Roberto Orvieto del Consiglio Nazionale Ingegneri.

“Meno pazienza. Finito il tempo delle attese” per Massimiliano Lovati, presidente AIFAG. “Solo per sollevare una riflessione: il tema dell’identità digitale è troppo delicato per essere gestito da privati come succede ora. Potremmo prendere esempio dall’Estonia“. E buttare SPID se arriviamo alla conclusione che questo non stia funzionando come ci si aspetterebbe succedesse.

Interventi armonizzanti su regole tecniche. In abbondanza e con urgenza secondo Giovanni Manca, presidente Anorc.

Riforma utile a controllare i controllori, visto il “gigantismo delle convenzioni Consip che sta di fatto escludendo le nostre piccole imprese dal mercato della Pubblica amministrazione”. Questo il suggerimento dell’avvocato Fulvio Sarzana.

Vision più organica aggiunge Mara Mucci, deputata di Civici e Innovatori, ex Movimento 5 Stelle. “Prima di mettere in piedi progetti costosi bisogna partire dall’inizio. Il problema delle competenze e della valutazione dei ruoli nei posti strategici è cruciale”.

Più serietà. Questo l’ingrediente principe di Paolo Coppola, presidente della commissione parlamentare di inchiesta sul livello di digitalizzazione e innovazione delle pubbliche amministrazioni. “Abbiamo cominciato i lavori della commissione a novembre e dureranno un anno”. Tra un anno, pertanto, magari conosceremo di più e meglio le nostre PA per suggerire ingredienti utili a preparare la digital transformation in salsa o no.

Formazione di nuove figure professionali in PA per Donato Antonio Limone, del dipartimento di scienze giuridiche ed economiche dell’Università Unitelma Sapienza. “Per trasformare una PA analogica, costosa, a volte inutile in una digitale e aperta bisogna puntare sulle persone“.

Cultura digitale in una PA demotivata per Giuseppe Corasaniti, sostituto procuratore generale della Corte di Cassazione.

Preparazione

Su come miscelare gli ingredienti, istruzioni precise non era forse possibile darle in modo corale e in una sola giornata. “Un’informazione corretta e capillare in materia, la creazione e la formazione di competenze digitali, il ripensamento dei modelli organizzativi tramite digitalizzazione dei processi, un approccio consapevole da parte degli operatori del settore, la consapevolezza dei vantaggi concreti, economici e strutturali, che il cambiamento digitale può portare nella vita di tutti i giorni” – gli ingredienti aggiunti da Andrea Lisi per condire il tutto.

Qualche indicazione su come procedere? “Oggi il commissario straordinario Piacentini, persona capace, deve lasciare sedimentare la normativa vigente. Ci si deve concentrare sulle regole tecniche, sugli standard, sulle best practice, sui finanziamenti per le PA e sulle competenze per le professionalità dedicate alla digitalizzazione e alla privacy“.

E buon appetito a tutti. Sempre che si riesca a sfornare qualcosa prima di morire di fame.

 

 

 

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