La Sostenibilità Digitale alla prova dell’AgriFood: la ricerca della Fondazione per la Sostenibilità Digitale

Ieri pomeriggio, in occasione del Sustainable AgriFood Digital Summit, la Fondazione per la Sostenibilità Digitale ha presentato il Rapporto 2022 sulla Sostenibilità Digitale nell’Agroalimentare: il racconto del Webinar attraverso i dati ed i commenti degli ospiti intervenuti

Con più di 1.300.000 addetti, e più del 10% di incidenza sul PIL, l’agroalimentare resta uno dei settori più importanti per l’economia del Paese. È per questo motivo che, oggi, risulta fondamentale comprendere quali siano gli impatti della trasformazione digitale in atto sulle dinamiche di questo settore, e come questa possa fornire un contributo concreto nella direzione della sostenibilità; così come è allo stesso modo centrale capire quale sia la percezione dei cittadini italiani rispetto al ricorso agli strumenti digitali che, in quest’ambito, gli consentirebbero di approcciare in maniera diretta al tema della sostenibilità: la trasformazione sostenibile, infatti, passa in larga misura dal contributo della società.

Sono questi i temi dei quali si è discusso ieri pomeriggio in occasione del Sustainable AgriFood Digital Summit, il webinar organizzato dalla Fondazione per la Sostenibilità Digitale, nel corso del quale è stato presentato il Rapporto 2022 sulla Sostenibilità Digitale nell’Agroalimentare. “Abbiamo deciso, come Fondazione, di focalizzarci sull’analisi del comparto agroalimentare – spiega Stefano Epifani, Presidente della Fondazioneperché questo è il settore che potrebbe trarre i maggiori vantaggi dall’incontro tra sostenibilità e digitalizzazione, nonostante sia quello che invece ha più difficoltà”.

Le filiere dell’Agrifood, infatti, sono costituite da molteplici attori eterogenei che potrebbero trovare nella tecnologia un grande alleato: ad esempio, nella comunicazione con il cliente, per raccontare il prodotto, garantirne la provenienza, spiegarne le caratteristiche e molto altro ancora. In altri termini, la trasformazione digitale ha il potenziale per rivoluzionare completamente il settore, e lo ha spiegato, nel corso del suo intervento, Giuseppe Pulina, Prorettore alla Ricerca all’Università di Sassari: “L’Agrifood si andrà ristrutturando nell’ecosistema digitale. La grande rivoluzione della transizione digitale sta nel fatto che prima ridefinisce i modelli di intermediazione, spesso peraltro abbattendone i costi, ma soprattutto aumentando la capacità di contatto tra i punti estremi della filiera: produttori e consumatori. Sempre di più i produttori si metteranno a disposizione dell’ecosistema digitale, e sempre più l’ecosistema digitale e dei consumatori accederà direttamente alle informazioni dei produttori. Tutto ciò che sarà informazione di filiera, in questo senso, dovrà essere inserita all’interno degli strumenti che saranno sempre più largamente disponibili. Noi saremo sempre più gli utenti del prodotto finale dell’informazione”.

Il rapporto – che ha visto, nel corso del webinar, presentati i suoi dati principali – è il primo sviluppato all’interno del neonato Osservatorio della Fondazione per la Sostenibilità Digitale, ed è basato sul Digital Sustainability Index (DiSI): l’indice multidimensionale sviluppato dalla Fondazione che indica il livello di consapevolezza da parte degli italiani nell’uso delle tecnologie digitali quali strumenti di sostenibilità. “La Fondazione ha messo in piedi il suo Osservatorio di ricerca per comprendere cosa pensino le persone del tema della sostenibilità e come vivano il rapporto tra sostenibilità e digitalizzazione – ha spiegato Simone Pastorelli, Responsabile della Comunicazione della Fondazionee, inoltre, per fornire tanto un supporto allo sviluppo di policy pubbliche a sostegno di questi due temi, quanto dei modelli interpretativi alle imprese per comprendere i comportamenti dei consumatori. L’indagine, che è stata realizzata su un campione rappresentativo di 3.600 interviste, ha portato alla necessità di realizzare un sistema di visualizzazione semplice, chiaro e comprensibile: per questo motivo è nato il Digital Sustainability Index”.

Nella sua declinazione, il DiSI prende in considerazione quattro diversi profili dei cittadini italiani, che hanno offerto alcuni spunti interessanti per comprendere in maniera più approfondita i dati relativi al comparto dell’Agrifood:

  • Sostenibili Digitali (26% degli italiani): coloro che hanno atteggiamenti e comportamenti sostenibili ed usano gli strumenti digitali;
  • Sostenibili Analogici (18%): coloro che hanno atteggiamenti e comportamenti sostenibili, ma non usano gli strumenti digitali;
  • Insostenibili Digitali (25%): coloro che hanno atteggiamenti e comportamenti non orientati alla sostenibilità, ma usano gli strumenti digitali;
  • Insostenibili Analogici (31%): coloro che hanno atteggiamenti e comportamenti non orientati alla sostenibilità, e non usano strumenti digitali.

Gli italiani credono alla trasformazione digitale per la sostenibilità nel settore?

Quasi un quarto della popolazione – il 23% dei cittadini – ritiene che le tecnologie digitali applicate al settore dell’agroalimentare non migliorino né l’esperienza dell’utente né l’economia della filiera: un dato preoccupante, se si considera invece il grande contributo potenziale che il digitale può offrire proprio in questo settore. Concezione che, però, sembra risentire del livello di sostenibilità e di competenze digitali dichiarate, poiché la percentuale scende al 15% se si guarda ai sostenibili digitali. “Dati molto interessanti, ed anche un po’ sorprendenti – ha commentato Giorgia Lodi, Technologist CNR ed editor di Tech Economy 2030 con la sua rubrica Open Data per la SostenibilitàForse questo è un settore dove si immagina sempre più l’aspetto analogico piuttosto che quello digitale, ma è esattamente il contrario, perché le tecnologie possono aiutare molto nel migliorare l’intero settore. Le tecnologie, ad esempio, sono in grado di generare un’enormità di dati, che possono essere sfruttati al meglio all’interno della filiera. Da qui deriva l’importanza di avere dati aperti, che possono contribuire ad aumentare sempre più la consapevolezza da parte dei consumatori: la pandemia, in questo senso, ha dimostrato che i cittadini hanno una grande voglia di conoscere temi importanti, come è proprio quello dell’Agrifood, per l’impatto che ha su di noi e sul benessere del nostro Pianeta. E questo passa proprio dai dati che, se correttamente interpretati, possono aiutare le persone anche a comprendere che, in realtà, il mondo del digitale può aiutare molto di più di quanto in questo momento si possa pensare”.

La pandemia ha dunque rappresentato un elemento di rottura rispetto al passato, e lo è stato anche in relazione alla percezione del digitale da parte dei consumatori. E questo rapido cambiamento, come evidenziato nel corso del suo intervento da Luciano Gaiotti, Direttore Centrale Servizi e Innovazione di Confcommercio, potrebbe avvenire presto anche per la sostenibilità: un tema che ormai sembra essere stato colto da parte delle imprese. “La pandemia ha segnato una discontinuità rispetto all’uso del digitale, e questo è un trend. A mio parere, però, anche se i numeri ancora non lo dimostrano a pieno, esiste un trend anche sulla sostenibilità. A questo proposito, noi vediamo che c’è una sempre maggiore richiesta da parte delle aziende di avere dei riconoscimenti per i comportamenti più sostenibili, proprio perché hanno interesse a comunicare ai consumatori la propria sostenibilità. E questo avviene perché sanno che i consumatori attenti a queste istanze, prima o dopo, cresceranno: per questo motivo, le aziende devono mettersi nelle condizioni di poter rispondere in anticipo a queste esigenze, e lo stanno già facendo oggi”.

Proprio rispetto alla sostenibilità, anche in relazione all’operato delle imprese, dai dati emergono alcune informazioni rilevanti. In particolare, il 50% degli italiani ritiene che sia semplice capire se un’azienda è sostenibile, ed il 52% pensa invece che lo sia trovare informazioni riguardanti la sostenibilità di dati prodotti. Inoltre, la sensibilità verso il tema è importante, tanto che ben il 91% degli intervistati ritiene, da questo punto di vista, che sia importante aumentare il proprio livello di informazione in merito. Tuttavia, è interessante notare come – anche in questo caso – il dato vari in funzione dei diversi cluster del DiSI: in particolare, se a ritenere che sia facile capire la sostenibilità di un’azienda è il 59% dei Sostenibili Digitali, la percentuale scende al 41% per gli Insostenibili Analogici. In più, paradossalmente, sono proprio i Sostenibili Digitali – gli utenti, dunque, più “competenti” – a dichiarare per la quasi totalità (96%) che aumentare il proprio livello di informazione sia importante; per gli Insostenibili Analogici, invece, questa percentuale scende all’88%. “Insomma – ha commentato Stefano Epifanidai dati emerge come la competenza su sostenibilità e digitalizzazione produce come risultato un aumento della consapevolezza della complessità del tema, e la conseguente voglia di capirne di più”.

Le app? C’è ancora molto da fare

Quanto alle molteplici app utilizzabili in questo ambito, è la digitalizzazione – e non la sostenibilità – l’elemento in grado di condizionare i comportamenti, e quindi l’utilizzo che i cittadini italiani fanno di questi strumenti. Ciò appare subito evidente guardando ai dati sull’utilizzo delle app per la prenotazione di ristoranti: i dati evidenziano che, infatti, rispetto alla percentuale complessiva di utenti che fa uso di questi strumenti (55%), mentre sono identiche le percentuali da parte di Sostenibili ed Insostenibili Analogici (40%), salgono al 69% per gli Insostenibili Digitali ed al 71% per i Sostenibili Digitali. Situazione analoga si ritrova nei dati riguardanti l’utilizzo futuro previsto di questi strumenti: a fronte di poco più di un terzo della popolazione che ritiene che in futuro li userà di più, la percentuale sale al 40% per i Sostenibili Digitali.

La digitalizzazione, inoltre, è un elemento che incide anche sull’utilizzo di altre tipologie di applicazioni che invece consentirebbero ai cittadini di intervenire in maniera più concreta sulla sostenibilità. Tuttavia, in questo caso, in misura minore: queste sono infatti nel complesso ancora scarsamente utilizzate. Appare infatti ancora residuale l’utilizzo di applicazioni e di piattaforme di scambio di prodotti in scadenza con i vicini (come MyFoody), con solo il 5% degli intervistati che ne fa un uso regolare (ed un 37% che non ne conosce l’esistenza); anche in questo caso, un peso significativo è ricoperto dalle competenze digitali: mentre la percentuale sale all’11% per i Sostenibili Digitali, non ci sono Sostenibili Analogici a fare un uso regolare di queste soluzioni, con solo l’1% per quanto riguarda gli Insostenibili Analogici. In altre parole, si evidenzia come chi non conosce la tecnologia digitale, e non ne fa uso, perda una grande opportunità di adottare comportamenti più sostenibili.

Stessa situazione sul lato delle diverse applicazioni a supporto della preparazione ragionata delle liste della spesa (come UBO), usate regolarmente solo dal 4% degli utenti, con un 31% che dichiara di conoscerle ma di non utilizzarle ed un 38% di italiani che non ne conosce invece l’esistenza: dato, quest’ultimo, che si attesta rispettivamente al 49% ed al 44% per Insostenibili e Sostenibili Analogici, ed al 33% e 27% per Insostenibili e Sostenibili Digitali.

Inoltre, ancora un terzo dei cittadini italiani non conosce strumenti digitali che consentirebbero loro di ottenere informazioni sui prodotti che consumano (RFiD, QRCode), ed il 41% pur conoscendone l’esistenza non ne fa uso. Anche qui, fatta eccezione per i Sostenibili Digitali che per circa un terzo usano questi strumenti, l’uso per il resto dei cittadini è residuale, ed anche in questo caso incide il livello di digitalizzazione. “Sicuramente l’alfabetizzazione digitale è un problema sempre presente, che non possiamo non evidenziare – commenta Mauro Vergari, Responsabile Ufficio Studi, Innovazione e sostenibilità Adiconsum Tuttavia, ho sintetizzato i risultati della ricerca in una parola: pigrizia. I nostri consumatori italiani sono pigri, soprattutto per fare la spesa, per fare attenzione agli acquisti, ma lo sono anche perché abbiamo un sistema Paese che non aiuta alla sostenibilità personale. Però, se capiamo che la digitalizzazione e la sostenibilità hanno necessità di formazione, è evidente che sia fondamentale muoversi ed andare in quella direzione”.

Questi strumenti, come proprio i QRCode, hanno infatti il potenziale per modificare profondamente questo settore, nonché un grande potenziale anche dal punto di vista dei consumatori. Questo potenziale però, come dimostrano anche i dati della ricerca, deve ancora essere adeguatamente compreso. “La comunicazione digitale può essere lo strumento attraverso il quale avere il tracciamento di filiera – spiega Andrea Sisti, Presidente WAA e Sindaco di Spoletoed in questi ultimi anni sono aumentati esponenzialmente gli strumenti a nostra disposizione per effettuare questo percorso. Fino a 7-8 anni fa, perché da lì è iniziata la digitalizzazione della filiera, avevamo solo la carta, ed era solo attraverso questa che si poteva dimostrare la tracciabilità di un prodotto, non attraverso un sistema che consentiva la geolocalizzazione del prodotto stesso e un riconoscimento automatico verso il consumatore: attraverso un QRCode, oggi è possibile ‘andare’ direttamente nell’azienda dove viene realizzato un dato prodotto, tramite gli elementi che quel prodotto lo hanno formato. E tutto questo è oggi in fortissima innovazione”.

Si inserisce, in quest’ambito, anche il tema delle certificazioni, affrontato nel suo intervento da Renato Grottola, Global Head of Growth and Innovation di DNV: anche in questo caso, è fondamentale comprendere in che modo il digitale abbia determinato un cambiamento, e come questo cambiamento debba essere affrontato da parte delle aziende. “La certificazione è una forma di intermediazione, che non ha come obiettivo il vendere un prodotto, ma quello di fornire al consumatore o all’azienda una sintesi che gli consenta di avere la ragionevole attendibilità che quel prodotto risponde a determinate caratteristiche. È una forma di intermediazione delle informazioni e dei dati certamente costosa, ma che ha un grande valore aggiunto, perché dà la garanzia che quelle informazioni e quei dati sono state riviste da qualcuno, e sono probabilmente, o quasi sicuramente, più veritiere di altre che sono oggetto di autodichiarazione. Il digitale, però, sta aumentando la capacità delle aziende di fornire dati: questa però deve accompagnarsi ad un’interpretazione di questi dati, perché è soltanto in questo modo che la trasparenza da parte delle imprese può essere valorizzata”.

Il digitale ha – ed avrà – un ruolo quindi centrale nella comunicazione al consumatore. Questo però, come emerso in conclusione del Summit, deve trovare un punto d’incontro con l’aspetto analogico, che in questo contesto non perderà la propria importanza. “Quando sento dire di scegliere tra digitale e punto di vendita fisico, penso sia il modo più sbagliato per approcciare ai processi di comunicazione che il consumatore chiede oggi, al netto della forte presenza di consumatori cosiddetti ‘analogici’ e di una quota di digitalizzati che crescerà sempre di più – commenta Salvo Garipoli, Direttore SG Marketing Io credo, infatti, che il futuro passi da un’integrazione, dell’esperienza di selezione, acquisto e consumo, che vede in sinergia l’aspetto fisico, quindi il ruolo del reparto, il ruolo dell’assortimento, con il tema di una comunicazione allargata, e dunque amplificata, che permetta al consumatore di rilevare le informazioni che sta cercando”.

Il caso del Consorzio per la Tutela del Prosecco DOC

Partner e sponsor della giornata è stato il Consorzio per la Tutela del Prosecco DOC, in rappresentanza del quale Silvia Liggieri, Responsabile della sostenibilità, ha raccontato innanzitutto quale sia l’importanza del concetto di sostenibilità, e le esperienze messe in atto in questa direzione. “La sostenibilità è in primis un concetto dinamico, che è tuttavia fondamentale trasferire nella dimensione pratica. Ad oggi, per la denominazione Prosecco, ‘sostenibilità’ vuol dire principalmente cambiamento: un cambiamento graduale di gestione della denominazione. Solitamente privilegiamo il termine ‘durabilità’, intesa del sistema produttivo, costituito da aziende, territorio e comunità locale. L’obiettivo è quello di fare del Prosecco DOC un patrimonio sociale, economico e ambientale durevole, e ciò significa per noi aumentare anche il valore ecologico, sociale ed economico della nostra denominazione. Il nostro percorso si incentra molto sul progetto di Denominazione Sostenibile, che vuole implementare lungo la filiera un sistema di gestione per la sostenibilità basato sullo standard Equalitas, perché questo percorso guarda a tutti i pilastri della sostenibilità, ambientale, sociale ed economica: questo è l’unico modo di approcciarsi al tema, non possiamo guardare ad uno solo dei pilastri”.

Inoltre, Silvia Liggieri ha raccontato anche alcune delle principali attività messe in atto dal punto di vista della digitalizzazione. “Per andare a gestire una denominazione verso l’implementazione di tutte queste misure, e per andare a coordinare un territorio vasto, che coinvolge così tante aziende, come quello del Prosecco DOC, andiamo a creare una piattaforma di gestione a livello consortile, che sarà una sorta di ‘raccoglitore’ di tutte le informazioni e dei dati di gestione viticola. Abbiamo poi già sviluppato il collegamento a questa piattaforma dei registri di campagna digitali, che permettono la raccolta di dati di gestione viticola, che a loro volta andranno collegati ad un ulteriore strumento, che è il calcolatore di impronta carbonica ed impronta idrica di vigneto. Insomma, siamo in costante evoluzione, e stiamo lavorando molto sulla digitalizzazione. Senza la digitalizzazione, visto l’ammontare di dati e di elementi da gestire, questo percorso non sarebbe neanche pensabile”.

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